GRANI MODERNI E ANTICHI A CONFRONTO

Grani “antichi” e grani moderni: una recente letteratura vuole ad ogni costo contrapporli, per motivi che molto hanno a che fare con interessi legati a mode alimentari e poco con la scienza.
Si tratta in realtà di prodotti diversi, dato che tra la costituzione dei primi e di quelli attuali c’è di mezzo almeno qualche decennio (per questo qualcuno suggerisce di chiamarli più correttamente “vintage”). Entrambi hanno buone ragioni per essere proposti sul mercato, poiché vanno a soddisfare esigenze diverse dei consumatori, una parte dei quali ama gli alimenti alternativi, di suggestione.
Resta in non poche persone la convinzione che il progresso genetico abbia portato da un lato ad un deciso incremento produttivo, pagando però il prezzo di una certa perdita di qualità nutrizionale.
Per far luce su questo punto, un gruppo di scienziati ha svolto una prova di confronto che ha coinvolto 39 varietà di frumento tenero: 9 costituite tra il 1790 e il 1916, 13 nel periodo 1935-1972 e 17 tra il 1980 e il 2012, quindi con tecniche molto diverse tra loro.
La coltivazione è avvenuta in un periodo di tre anni nel Rothamsted Research in Hertfordshire, storica stazione sperimentale inglese.
La produzione ottenuta da ciascuna parcella è stata trasformata in farina e questa attentamente analizzata. Il risultato finale dimostra che non vi sono prove circa un deterioramento qualitativo delle varietà attuali rispetto a quelle del passato.
Al contrario, i grani moderni producono farine con il 30% in più di di fibra alimentare. Non solo: la concentrazione di betaina, un aminoacido benefico per l’apparato cardiovascolare, è aumentata, mentre la percentuale di asparagina, un altro aminoacido che durante la cottura del pane può convertirsi in acrilamide, sostanza tossica e potenzialmente cancerogena, presenta valori in diminuzione.
Nelle varietà recenti anche il contenuto di vari polisaccaridi, come saccarosio, maltosio e fruttosio risulta migliorato.
Era già noto d’altra parte che l’introduzione di varietà a taglia ridotta a partire dagli anni ’60 aveva portato a un calo di zinco e ferro nelle farine.
Lo studio, realizzato in collaborazione con la University of Bristol e pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha rilevato altresì come le variazioni climatiche nelle diverse annate, in particolare la piovosità e la siccità, abbiano influenzato la qualità nutrizionale del prodotto, anche se quest’ultima è in maggior parte dipendente dal patrimonio genetico della singola varietà.