I cambiamenti climatici rappresentano un argomento focale di discussione in vari contesti.
Dopo anni di confronti e dichiarazioni spesso contrastanti, i diversi pareri della comunità scientifica stanno sempre più convergendo su due punti fondamentali: 1) il cambiamento del clima è un fenomeno reale; 2) le emissioni di anidride carbonica dovute ad attività umane influenzano il clima in modo significativo e le produzioni agricole concorrono per circa il 25% all’emissione dei gas serra.
L’agricoltura è sicuramente il settore più coinvolto, visto che ha il compito di nutrire 2,5 miliardi di persone in più nei prossimi 30 anni e le avversità climatiche rappresentano un’incognita che va fronteggiata e possibilmente superata.
Non è un caso che World Bank Group, l’organizzazione mondiale che ha lo scopo di ridurre il livello di povertà nel mondo e incrementare uno sviluppo sostenibile, ha stanziato la cifra di 20 miliardi di dollari per interventi tesi a combattere i cambiamenti del clima in 20 paesi, nei prossimi 5 anni. Per esempio, in Cina è in corso di attuazione un progetto per ottimizzare l’uso dell’acqua su una superficie di 44.000 ettari; in Messico, 1.165 imprese agricole hanno adottato sistemi energetici sostenibili, riducendo le emissioni di CO2 di 3,3 milioni di tonnellate; ancora, in Senegal sono stati sviluppati nuovi ibridi di sorgo e varietà di miglio resistenti alla siccità e quindi in grado di fornire un significativo incremento dei raccolti.
L’allarme è scattato anche in Australia, il quarto maggior produttore mondiale di cereali e probabilmente il paese maggiormente sotto pressione per i cambiamenti climatici in questo momento.
ABARES-Australian Bureau of Agricultural and Resources Economics and Sciences ha stimato per la campagna 2018-19 un complessivo 23% di calo nella produzione, rispetto all’anno precedente; in particolare il raccolto di frumento tenero sarà il peggiore dal 2008-09 (situazione che contribuì ad un calo delle scorte mondiali e ad un’impennata dei prezzi).
Di fatto, in Australia dall’inizio del secolo è stato registrato un innalzamento di 1 grado nella temperatura media, con effetti fortemente negativi sulle produzioni agricole.
Questa tendenza è globale e ha effetti in tutti i continenti. Infatti entro i prossimi decenni le produzioni statunitensi di frumento potrebbero ridursi del 20%, quelle di soia e mais dal 40 al 50%. Questo significherebbe mettere a rischio denutrizione altre 70 milioni di persone.
La comunità internazionale deve attivarsi in varie direzioni: riduzione delle emissioni di anidride carbonica, razionale utilizzo delle risorse idriche, ottenimento di varietà vegetali tolleranti la siccità, scelta di nuove specie negli ambienti difficili.
La strada è tracciata, la partita non può essere persa e il futuro del pianeta dipende inevitabilmente dall’agricoltura.