SICUREZZA ALIMENTARE, NON DIAMOLA PER SCONTATA.

La politica europea sta definendo le sue scelte. Si stanno sciogliendo gli ultimi nodi sulla nuova pac, che guiderà l’agricoltura comunitaria dal 2023 al 2027. I motivi conduttori saranno la difesa dell’ambiente, la sostenibilità delle coltivazioni, la resilienza ai cambiamenti climatici. Anche la strategia Farm to Fork, che fa parte del piano d’azione conosciuto come Green Deal europeo, è sintonizzata sui medesimi temi. Non si può non essere d’accordo sugli obiettivi, più discutibili le strategie per realizzarli, ma ciò che si nota è la mancanza di attenzione verso un tema almeno altrettanto importante. Si tratta della sicurezza alimentare, intesa non tanto come salubrità degli alimenti (food safety), in effetti già garantita da una serie di normative piuttosto severe, bensì della garanzia di assicurare ai cittadini in modo costante e generalizzato acqua ed alimenti per soddisfare il fabbisogno energetico (food security).

Italia lontana dall’autosufficienza alimentare

L’EU27 è paese esportatore di frumento tenero e ha un bilancio di autosufficienza di frumento duro e mais pari a 85%, ma è un forte importatore di soia (appena il 15% del fabbisogno è prodotto “in casa”).

La posizione dell’Italia appare più delicata. Infatti dobbiamo importare ben il 67% della soia necessaria (era il 52% nel 2015), il 49% del mais (il 28% nel 2015), il 42% del frumento duro (23% nel 2017) e addirittura il 64% del tenero (56% nel 2013). Come si vede, la situazione è notevolmente peggiorata da qualche anno per il calo della superficie investita nelle varie coltivazioni. La conseguenza è una ricaduta negativa da diversi punti di vista. Innanzitutto economico, con un peggioramento del deficit della bilancia alimentare: nel 2020 l’import di cereali è costato circa 5 miliardi di euro (+12,5% rispetto al 2011), quello di colture industriali 3,7 miliardi. Un altro aspetto riguarda la qualità degli alimenti, dato che la quasi totalità di mais e soia viene da Paesi pressoché totalmente coltivati con OGM, mentre il frumento duro nordamericano è solitamente trattato con Glyphosate, assai poco gradito ai consumatori. Per non parlare di chi sogna alimenti a “kilometro zero” o Made in Italy, soprattutto considerando le tipicità di pasta, pane, prodotti da forno e altri. E non è tutto.

Food security text with marker, concept background

Gli effetti della pandemia

C’è un ulteriore fattore, che rende ancora più fragile la posizione dei Paesi importatori. La pandemia, tuttora in corso e lungi dall’essere sconfitta in alcune aree come il Sudamerica, oltre a rallentare e complicare i commerci internazionali per ragioni logistiche, ha prodotto una serie di reazioni nei vari Paesi, nel nome della sicurezza alimentare. Da un lato, i grandi produttori come Russia, Ucraina, Brasile e altri hanno rallentato le vendite o imposto dazi, dando la priorità all’autoapprovvigionamento. Dall’altro, i compratori come EU, Cina, India, ma anche i Paesi del Terzo Mondo hanno aumentato la domanda, per non restare scoperti. Questo effetto domino sta causando, da luglio 2020, un calo degli stoccaggi finali delle materie prime e una conseguente serie di aumenti dei prezzi. Oggi la pandemia, domani eventi geopolitici o climatici avversi potrebbero procurare simili scompensi.

Alla luce di quanto detto, sarebbe auspicabile che i politici EU e italiani dedicassero una parte delle risorse agricole ad incrementare le produzioni interne delle principali materie prime per affrancarsi, almeno in parte, dalla dipendenza verso le importazioni. Forse varrebbe la pena di sacrificare un po’ di sostenibilità a favore di una maggiore garanzia alimentare.

Franco Brazzabeni