SEMINE PRIMAVERILI: LA SOIA VA, IL MAIS NO.

Il conflitto russo-ucraino ha portato nuovi e ulteriori motivi di agitazione in un mercato già in fibrillazione da metà 2020. Prima il calo delle scorte causato da produzioni al di sotto dello standard, poi gli effetti della pandemia avevano causato un forte rialzo dei prezzi delle commodities agricole, dopo diversi anni di calma piatta sui mercati. Non va dimenticato il ruolo della Cina quale grande importatore di materie prime e gli effetti dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni, oltre a fattori geopolitici come la guerra dei dazi USA-Cina e finanziari, vedi il cambio euro/dollaro. Dall’inizio della guerra in Ucraina la situazione è precipitata. Lo stop (o il forte rallentamento) delle esportazioni per motivi logistici e per le sanzioni applicate alla Russia sta privando l’Europa di due dei principali fornitori di cereali e oli vegetali. E’ il mais a destare le maggiori preoccupazioni.

Il settore zootecnico sotto i riflettori

Il mais, sotto forma di granella e farina, ma anche di pastone e insilato, è fondamentale per rifornire l’industria mangimistica e di conseguenze gli allevamenti, in particolare quelli di bovini e suini. Il mais rappresenta la metà delle materie prime della dieta di diverse specie animali, per un fabbisogno totale di oltre 10 milioni di tonnellate annue in Italia. Negli ultimi 15 anni la produzione nazionale di mais si è fortemente ridotta, passando da un milione e mezzo di ettari ai 960.000 della scorsa campagna. La diminuzione è dovuta a una serie di fattori, che vanno dalle anomalie climatiche (in particolare la scarsa piovosità in alcuni momenti della coltivazione), ai crescenti costi dell’energia, ai danni causati da vari patogeni, ai deprezzamenti originati dalle micotossine, alle quotazioni di mercato. In sintesi: meno introiti e maggiori costi, per una reddività in molti casi insoddisfacente per i produttori. Da metà del 2020 i prezzi di mercato sono sensibilmente saliti e in effetti nelle ultime due campagne c’era stato un parziale e limitato recupero degli investimenti. La guerra ha però nuovamente portato forti motivi di preoccupazione nel settore, visto che l’Ucraina è il principale esportatore di mais in Italia. Il nostro Paese ha un tasso di autosufficienza del 55% (era il 72% nel 2014) e l’Ucraina fornisce il 15% del fabbisogno. Da notare che a seguito del conflitto, l’Ungheria (principale fornitore con il 30%) aveva bloccato (e in seguito fortunatamente sbloccato) le esportazioni.

Mais ancora in calo

La UE ha prontamente reagito di fronte a una possibile carenza di rifornimenti, consentendo la coltivazione nelle aree EFA (Ecological Focus Area) o aree di interesse ecologico, destinate al riposo. Si tratta di circa 200.000 ettari per l’Italia, ma perlopiù consistenti in terreni marginali e poco produttivi.  Di fatto, nonostante da più parti siano giunti appelli ad aumentare le semine di mais, gli agricoltori sembra abbiano preferito la soia. Si stima infatti +10% per la leguminosa, mentre le proiezioni indicano il mais in contrazione del 5%. Nonostante le quotazioni record, i costi altrettanto eccezionali di fertilizzanti ed energia hanno indirizzato i produttori verso la più economica soia, il cui costo di produzione è inferiore di almeno il 30% rispetto al mais. Per gli stessi motivi, anche negli USA (maggior produttore mondiale) il mais è stimato in calo del 4%.

I fatti descritti sono un’ulteriore chiara dimostrazione che la PAC 2023-2027 deve essere riconsiderata e l’obiettivo della sicurezza alimentare va considerato come primario. Ma mentre il Commissario Ue all’Agricoltura Janusz Wojciechowski dichiara: “Ora l’Europa produca più cibo”, il vicepresidente della Commissione UE Frans Timmermans resta fermo sulla difesa del Green Deal e di un approccio estensivo e ambientalista. Il dibattito è appena iniziato.

11/05/2022

Franco Brazzabeni