Si può dire che sono da sempre presenti su varie piante coltivate, soprattutto cereali e oleaginose, e quindi sui loro prodotti e sugli alimenti che ne derivano, ma solo da una ventina d’anni se ne parla diffusamente, anche se spesso in modo inopportuno. Sono le micotossine, sostanze tossiche generate da alcune specie di funghi; sono presenti nel terreno e sulle derrate conservate nei magazzini, in particolare granaglie di mais, frumento, soia e arachidi, ma anche sui residui di coltivazione e sulla paglia. Queste tossine rappresentano una grave minaccia per la salute delle persone e degli animali allevati, selvatici e da compagnia, potendo causare varie patologie anche gravi, tra cui il cancro. Di conseguenza, la presenza di micotossine è una seria minaccia per gli agricoltori, dato che il raccolto contaminato, oltre certi limiti fissati per legge, non può essere avviato alle filiere alimentari.
Un incubo per produttori e consumatori
La normativa in materia, fissata dalla UE da ventina d’anni, indica soglie minime di micotossine sempre più basse, per garantire che dalle materie prime derivino mangimi e alimenti sani. I produttori si sono impegnati a fondo per raggiungere questi risultati, utilizzando varietà tolleranti, seme certificato, quindi controllato anche sotto l’aspetto sanitario e conciato, tecniche opportune di lavorazione del terreno, di coltivazione, rotazione e concimazione, nonché di stoccaggio, come indicato nelle Linee Guida suggerite dal Ministero. In effetti le numerose analisi puntualmente effettuate ogni anno dimostrano di solito livelli bassi di micotossine. Accade però che in annate particolarmente umide, soprattutto in epoca di fioritura, i livelli si alzino e possano superare i limiti fissati. In questo caso il prodotto può al massimo essere utilizzato per gli impianti per la produzione di biogas, con un notevole deprezzamento e il rischio di un bilancio in perdita. Anche negli USA, dove comunque l’uso di varietà di mais OGM si è rivelato uno strumento importante, le micotossine in alcuni casi rappresentano un problema per gli agricoltori, soprattutto negli Stati del Sud, periodicamente oggetto di diffusione del fenomeno.
Un’importante novità dagli USA
Da alcuni anni i ricercatori dell’ARS-Agricultural Research Service studiano trattamenti del terreno eseguiti con una variante “buona” (cioè innocua) del fungo Aspergillus flavus, per contrastare lo sviluppo dei ceppi che producono le pericolose aflatossine. Il mais cresciuto sui terreni così trattati presenta contaminazioni ridotte dal 60 al 85%. Ora la strategia si sta evolvendo e gli studiosi provano a trasferire questa tecnica dal terreno al seme, sperimentando una concia a base della variante di Aspergillus. Il prodotto è collocato su bioplastiche e carboni di origine vegetale (Biochar). Le prime permettono al preparato di aderire al seme e di conservarsi durante il suo trasporto. I carboni migliorano la salute della pianta anche in condizioni di stress, ad esempio in caso di siccità. L’azione decisiva è comunque svolta dal ceppo non tossico di Aspergillus, che, trovandosi sul seme, può colonizzare la pianta e prevenire così l’insediamento della variante pericolosa. La tecnologia funziona sul mais e la si sta provando ad applicare anche su altre specie suscettibili, quali soia e arachidi, entrambe molto diffuse in USA, anche per contrastare altre patologie. Da notare che tutti gli ingredienti utilizzati (funghi, plastiche da amido di mais e carboni) sono di origine vegetale e nessun derivato dal petrolio è presente: un vero esempio di lotta biologica.
In attesa di uno sviluppo commerciale di questa concia, si conferma una volta di più per gli agricoltori, e per tutta la filiera, l’importanza di utilizzare sempre seme di alta qualità, certificato e quindi controllato in ogni fase oltre che conciato professionalmente, anche per ottenere la massima sanità delle materie prime e degli alimenti prodotti.
09/01/2023
Franco Brazzabeni