SEME CERTIFICATO O AZIENDALE? PRO E CONTRO DI UNA SCELTA.

Desidero entrare anch’io nella discussione, a volte anche troppo appassionata, relativa alla scelta tra seme certificato e aziendale.
L’argomento è di grande attualità: recentemente, Roberto Bartolini, celebre “penna” del settore agrario, ha scritto per il sito “Il Nuovo Agricoltore” un paio di articoli, basati su dati oggettivi, a favore del seme certificato, ricevendo critiche da quella minoranza di agricoltori, molto attiva e polemica (e probabilmente anche non ben informata), che vede il seme certificato come una minaccia per la propria attività.
Proprio a questi ho deciso di rivolgermi, esponendo in modo molto schematico le argomentazioni da considerare prima della scelta, prendendo ad esempio il seme di frumento, e indicando in modo obiettivo vantaggi e svantaggi del seme aziendale, per fornire gli opportuni spunti di riflessione a coloro che lo preferiscono.

SEME AZIENDALEVANTAGGISVANTAGGI
Risparmio sul costo del seme*Assenza di controlli sanitari (patologie, micotossine, ecc.) e qualitativi (germinabilità, purezza, ecc.) ufficiali
Germinabilità normalmente inferiore
Per il frumento duro, esclusione dal diritto al contributo di € 200 (DM 16/11/17 n. 4259)
Impossibilità di utilizzare prodotti concianti professionali
Esclusione dai qualificati contratti di filiera

*Alcuni agricoltori sono convinti che il risparmio corrisponda alla differenza tra il costo ad ettaro del seme certificato (mediamente € 110) e il valore di mercato della granella (oggi € 20 per 100 kg., quindi mediamente € 55 per ettaro), quindi € 110 meno € 55 uguale € 55 teoricamente risparmiati. Da questa cifra bisogna però detrarre il costo della manodopera dell’agricoltore stesso per pulire, conciare e preparare il seme, oppure per commissionare tali operazioni a un operatore esterno, la cui tariffa si aggira su € 13,00 per 100 kg., nonché il costo della concia. Quindi ai 55 euro di cui sopra bisogna toglierne almeno una trentina. Alla fine, i minori costi per il seme aziendale, rispetto a quello certificato, si ridurrebbe a circa € 20 per ettaro. Attenzione però, questo sia pur limitato risparmio sarebbe ottenuto presumendo che il seme fatto in casa produca quanto quello acquistato, il che è tutt’altro che certo e dimostrato, anzi è improbabile.
Invito quindi gli agricoltori a mettere idealmente sui piatti di una bilancia i pro e contro della tabella e valutare se l’unico presunto vantaggio può compensare i molti certi svantaggi, non dimenticando che l’impiego di seme certificato finanzia la ricerca, che nel caso del frumento ha permesso, ad esempio, di migliorare le rese da 3 a 8 tonnellate negli ultimi 60 anni, con varietà più sane, più resistenti all’allettamento, più nutritive e altro.

Vorrei concludere con una considerazione: nell’agricoltura di oggi, il “muro contro muro” è un atteggiamento superato e sterile; nell’economia di filiera, sempre più importante e praticata, solo una politica di collaborazione tra i vari attori (agricoltori, sementieri, commercianti, trasformatori e consumatori) può far crescere il sistema e realizzare gli obiettivi comuni. In una filiera agro alimentare equilibrata, tutte le parti in causa devono risultare “vincitrici” e in questo senso il seme certificato è un chiaro esempio di risorsa fondamentale per tutti.