La ricerca e l’innovazione vegetale in Europa sono destinate a fermarsi?
Nei giorni scorsi è arrivata la notizia che gli addetti ai lavori non avrebbero mai voluto leggere: la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, a seguito di un ricorso presentato da varie associazioni no-OGM francesi, ha deciso che le NBT-New Breeding Techniques devono sottostare alla stessa normativa che regola gli organismi geneticamente modificati.
La decisione fa il punto a una decina d’anni di discussioni accese tra chi, come ricercatori e sementieri ma anche molte altri settori agricoli, sostiene che il genome editing non prevede l’uso di materiale genetico esterno e permette un grande risparmio di tempo e denaro favorendo il progresso dell’agricoltura, e chi invece ritiene che su questi prodotti vadano applicate le stesse norme degli OGM, fortemente restrittive.
Insomma, da un lato chi si impegna per vincere la sfida di nutrire 10 miliardi di persone entro il 2050 con pratiche sostenibili e accessibili a tutti, dall’altro chi fa delle questioni di principio e dell’ideologia la propria bandiera.
C’è anche il punto di vista di chi, come il vice presidente della Commissione agricoltura europea Paolo De Castro, ritiene che la situazione non sia così negativa e che la decisione della Corte di Giustizia lasci spazio ai vari stati membri di valutare caso per caso l’ammissibilità delle NBT.
Staremo a vedere.
Intanto, mentre l’Europa rischia di perdere anche questo treno, danneggiando gravemente l’intera filiera agro alimentare, il resto del mondo procede spedito sui binari della ricerca 2.0.
Nei giorni scorsi la rivista Trends in Plant Science ha pubblicato un articolo nel quale due ricercatori del New Zealand Institute for Plant & Food Research sostengono come la tecnologia CRISPR-Cas9 può offrire la possibilità di migliorare forma, colore, taglia e soprattutto valore nutritivo di molti frutti e ortaggi. Tra le varie possibilità c’è quella di arricchire di vitamine la polpa di mele e patate, naturalmente incolore in quanto i nutrienti sono concentrati nella buccia.
Andrew Allan e Richard Espley spiegano come questi miglioramenti siano ottenibili senza l’aggiunta di sequenze di DNA, ma “semplicemente” intervenendo su geni già presenti nelle piante, responsabili dei vari caratteri su indicati.
Quello citato è solo un esempio, ma le potenzialità della nuova genetica sono enormi e, oltre alla qualità nutritiva, possono migliorare la produttività e la resilienza ai cambiamenti climatici di molti prodotti agricoli, con tecnologie accessibili a tutti e non solo ai colossi del settore.
Per il momento auguriamoci che la scienza e il buon senso prevalgano sui fattori emotivi e venga dato opportuno ascolto ai ricercatori e agli operatori che operano per il progresso dell’agricoltura.