Quanto influiscono i cambiamenti climatici sulle produzioni agricole? Cosa può fare la ricerca per limitare i danni?
Sono le domande che rischiano di togliere il sonno a scienziati, tecnici e agricoltori, che da anni assistono ad andamenti stagionali anomali cui spesso fanno seguito risultati produttivi e qualitativi insoddisfacenti e addirittura preoccupanti se visti in un’ottica di approvvigionamento alimentare mondiale.
Un esempio? La Washington University ha recentemente compiuto uno studio sul raccolto mondiale di mais, con particolare riguardo ai quattro maggiori esportatori, vale a dire USA, Brasile, Argentina e Ucraina, dai quali dipende un volume commerciale pari a 87% del commercio globale di mais.
Un aumento di 2 gradi della temperatura media, considerato possibile nel medio-lungo periodo se l’emissione di gas serra continuerà con il ritmo attuale, causerebbe una probabilità pari al 7% di raccolto deficitario (cioè con almeno il 10% di perdita) contemporaneamente nei 4 paesi citati.
Se però l’aumento dovesse essere intorno a 4 gradi (il che potrebbe verificarsi entro la fine di questo secolo), allora le probabilità salirebbero a 86%, con conseguenze ben immaginabili sul mercato globale: carenza di scorte, prezzi dei cereali alle stelle e approvvigionamenti difficili, soprattutto per i paesi poveri. Uno scenario simile a quello verificatosi nel 2003, con “rivolte del pane” in varie aree del Mediterraneo.
Un’altra indagine, svolta dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine, non è meno inquietante: secondo questa proiezione, i cambiamenti ambientali in corso (segnatamente quelli riguardanti la disponibilità di acqua, l’aumento della temperatura media e la concentrazione di ozono) potrebbero ridurre, tra la metà e la fine del secolo, le produzioni di specie orticole del 35% e dei legumi del 9%, in un vasto areale comprendente Europa, parte dell’Africa e dell’Asia.
Il mondo della ricerca in campo vegetale sta cercando di reagire, fissando nuovi obiettivi e affinando le tecniche.
La Kansas State University sta concentrando le proprie risorse sul frumento, di cui lo stato è uno dei maggiori produttori.
In particolare, i ricercatori ritengono che l’aumento delle temperature medie notturne sia responsabile di perdite produttive e qualitative.
Questo aspetto non era mai stato preso in considerazione e per dimostrare la sua fondatezza si sono seminate parcelle di frumento sotto particolari strutture, nelle quali la temperatura può essere regolata artificialmente.
Le piante sono quindi sottoposte a temperature notturne forzate nel periodo post fioritura, mentre durante il giorno la copertura viene rimossa e la parcella è esposta alla temperatura naturale del resto dell’appezzamento coltivato.
I risultati, se confermeranno la teoria, aiuteranno i breeders a selezionare i materiali più adatti a produrre in condizioni di temperature notturne elevate.
Un esempio di come l’innovazione vegetale sia fondamentale per vincere le sfide di questo secolo: nutrire il pianeta nonostante i cambiamenti climatici e la riduzione di superficie agricola, con un’agricoltura sostenibile.
Fonti: European Seed 18/06/2018; Seed World 15/06/2018 e 21/06/2018.