Nella mia avventura professionale la coltura della soia ha sempre ricoperto un ruolo speciale: infatti ebbi la fortuna di partecipare al lancio di questa specie in Italia, facendo parte, nella seconda metà degli anni 80, di quella grande organizzazione che era il Gruppo Ferruzzi.
La soia ha da subito attirato l’attenzione degli agricoltori per vari motivi; tra gli aspetti tecnici, quello che maggiormente attirava la loro curiosità era la capacità della pianta di assorbire azoto dall’atmosfera, grazie ai batteri in funzione nei noduli presenti sulle radici.
Questa caratteristica, propria delle leguminose, è fondamentale per garantire una notevole presenza di proteine nel seme, senza dover intervenire con apporto di concimi chimici.
In questi 30 anni si è però osservato che non sempre le produzioni di soia nel nostro paese hanno fatto registrare prestazioni soddisfacenti, sia dal punto di vista produttivo che qualitativo (% di proteine).
Ora uno studio compiuto in Brasile, uno dei maggiori produttori mondiali di soia, potrebbe aprire nuove prospettive per la coltivazione.
La ricercatrice Mariangela Hungria, di Embrapa Soja, ha provveduto a mescolare come d’abitudine il rizobio con il seme, ma in più ha irrorato sulla pianta, a vari stadi di crescita, una soluzione batterica, registrando un maggior numero di noduli radicali e alla fine una produzione più elevata.
Questa tecnica colturale viene applicata in Brasile dal 2016 ed è in fase di espansione.
Credo sarebbe opportuno ed interessante effettuare prove anche in Italia, per capire se la media produttiva nazionale, che pure è una delle più alte del mondo, possa essere incrementata e stabilizzata, così come il contenuto proteico.
La soia è una coltura strategica in chiave futura, sia per l’italia che per altri paesi europei, alla luce del Piano Europeo delle Proteine, nel quale la soia gioca evidentemente un ruolo di primo piano.