In questi ultimi mesi l’agricoltura è diventata uno degli argomenti più in evidenza sui media. Il settore primario, da sempre una cenerentola per l’informazione, viene oggi discusso, analizzato e presentato quasi giornalmente su televisione, radio, giornali e ovviamente su internet, con inevitabile seguito di “bufale”. Oltre ai media, anche i politici e i comuni cittadini sembrano aver scoperto l’importanza dell’agricoltura per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari. Il conflitto russo-ucraino sta facendo capire che avere cibo a sufficienza non è un fatto scontato e automatico e si stanno delineando scenari di possibili crisi alimentari per i paesi poveri, con tutte le conseguenze socio-politiche del caso, come instabilità sociale e migrazioni di massa. In realtà l’attuale situazione trae le sue origini dal calo delle scorte di materie prime alimentari, iniziato nel 2020 a seguito di produzioni globali carenti causate dalle anomalie climatiche. Successivamente il Covid-19 ha esercitato una pesante influenza, rallentando il commercio internazionale e aumentando i costi dei trasporti. Non solo i prezzi delle commodities agricole si sono impennati, ma anche i costi di produzione: i fertilizzanti (in gran parte prodotti dalla Russia) e l’energia (idem per quanto riguarda il gas) hanno registrato incrementi record. In questo clima fortemente agitato si aggiunge ora un nuovo elemento destabilizzante: la manodopera stagionale.
Raccolta frutta e ortaggi a rischio
Le temperature record di maggio stanno accelerando la maturazione di molte specie frutticole e orticole in tutt’Italia e i produttori hanno lanciato il loro allarme: manca il 30% della forza lavoro e il rischio di non raccogliere il prodotto è concreto. Ogni anno servono circa 100.000 lavoratori stagionali per le varie operazioni da svolgere in campo, in serra e in magazzino: raccolta, diradamento e potatura, ma anche confezionamento dei prodotti. Una parte rilevante di questa forza lavoro viene dall’estero. Si tratta di oltre 40.000 soggetti, intra (est Europa) ed extracomunitari, il cui ingresso è regolato dal cosiddetto Decreto Flussi, ma è ritardato dalla burocrazia. Inoltre molti lavoratori esteri stanno preferendo altri Paesi, come Inghilterra, Francia e Olanda, dove, tra l’altro, le aziende che assumono godono di particolari agevolazioni fiscali. Anche il covid, i salari bassi e la minaccia del caporalato hanno contribuito a rendere difficoltoso il reperimento. Infine, un numero crescente preferisce cercare lavoro in patria.
Gli italiani? Poco disponibili
Con una situazione di questo genere, in un contesto economico sempre più difficile per le famiglie italiane, ci si aspetterebbe che il vuoto venisse colmato da manodopera nazionale. Invece gli italiani considerano poco attrattivo questo tipo di prestazioni, per vari motivi. Innanzitutto si tratta di lavori piuttosto faticosi, che spesso impegnano anche il sabato e la domenica, a fronte, come detto, di paghe non elevate. Molti sembrano preferire il reddito di cittadinanza, che per questo viene additato come un fattore negativo per il mondo del lavoro. Un altro aspetto è la mancanza di manodopera specializzata: vi è carenza di potatori e di conducenti di macchine, ma anche il settore zootecnico lamenta la difficoltà di reperire personale di stalla, gran parte del quale è tradizionalmente di origine indiana.
Le autorità preposte sono quindi chiamate ad intervenire rapidamente ed efficacemente in varie direzioni: snellimento della burocrazia per un veloce rilascio dei nulla osta all’ingresso in Italia dei lavoratori esteri; abbassamento del costo del lavoro per migliorare le condizioni salariali e la reddività aziendale; formazione dei lavoratori specializzati mirata alle effettive esigenze delle aziende. Un’altra sfida vitale per la nostra agricoltura.
04/06/2022
Franco Brazzabeni
Fonte della foto di copertina: Dreamstime.