Le piogge che in Italia hanno caratterizzato l’ultimo paio di settimane prima del raccolto del frumento, provocando un calo delle produzioni previste, nonché in molti casi anche della qualità, rappresentano un’eccezione rispetto a quanto accaduto nel resto d’Europa. A Nord e ad Est, i paesi grandi produttori di cereali come Francia, Germania, Gran Bretagna, Russia e Ucraina hanno sofferto un’estate eccezionalmente calda e siccitosa, che ha causato un crollo delle produzioni. Anche il Canada ha vissuto simili problemi, mentre altre aree come Australia orientale, Malesia e parte di India e Filippine stanno registrando precipitazioni poco intense rispetto la media.
Così l’ultima stima prodotta dal Coceral, l’associazione europea che raggruppa gli operatori commerciali dei prodotti agricoli, fissa un ulteriore ribasso, rispetto ai numeri dello scorso giugno. La produzione nell’ambito UE di cereali ed oleaginose è ora prevista a 283,5 milioni di tonnellate, contro le 300 del 2017. In particolare, la produzione di frumento è ora stimata a 129,9 milioni di tonnellate, con un calo del 17% nei confronti dello scorso anno. Stessa sorte per orzo, mais e colza.
Ora l’attenzione si sta spostando su El Niño, il fenomeno meteorologico che periodicamente provoca il riscaldamento delle acque del Pacifico centro-meridionale e di conseguenza causa, tra l’altro, siccità in varie aree.
Gli effetti sono attesi nel periodo invernale e interesseranno l’emisfero nord del pianeta, quindi Canada, Europa e bacino del Mar Nero. Il timore è che la situazione di siccità possa cronicizzarsi e rendere problematica la coltivazione delle specie autunno-vernine.
Questi dati sulla produzione in calo, sommati a quelli relativi all’aumento globale dei consumi, portano inevitabilmente a prevedere un calo degli stock mondiali, meno 19 milioni di tonnellate a giugno 2019, secondo l’International Grain Council. Questo autorizza a prevedere un rinforzo dei prezzi del frumento nel breve termine: di fatto la quotazione attuale delle nostre Borse merci segna un +10% rispetto la media della scorsa campagna.
Considerazione finale: è sempre più un “weather market”, un mercato dove il meteo è in grado di influenzare non soltanto l’esito dei raccolti, ma anche l’andamento dei prezzi e tutti gli operatori ne devono tener conto.