LE GRANDI POTENZIALITA’ DEL SORGO

L’agricoltura di oggi e di domani cerca una specie resiliente ai cambiamenti climatici? Coltivabile in modo sostenibile per l’ambiente? Poco costosa e quindi remunerativa per gli agricoltori? Versatile e adattabile a vari usi, magari anche alle nuove tendenze alimentari? Con ampi spazi di miglioramento produttivo? Bene, questa specie c’è già e si chiama sorgo.
Sorghum vulgare, nelle sue varie forme, è uno dei cereali più coltivati sul nostro pianeta, dove si è diffuso partendo dal continente africano, sua patria d’elezione.
La sua dote maggiormente caratterizzante è la rusticità, che lo rende la coltura a semina primaverile più resistente alle alte temperature e alla carenza d’acqua, situazioni piuttosto frequenti e fortemente penalizzanti da alcuni anni. Pertanto una specie in grado di rallentare il proprio metabolismo e così capace di superare con pochi danni le ricorrenti estati “africane” è praticamente un sogno che si realizza.
Ma ci sono vari altri aspetti positivi. Le esigenze del sorgo in termini di mezzi tecnici sono piuttosto limitate e questo significa due cose: la coltivazione non costituisce un impatto alto per l’ambiente e comporta un impegno economico relativamente leggero per i coltivatori, fornendo alla fine un reddito lordo per ettaro superiore a quello delle altre principali grandi colture cerealicole o oleaginose.
Ancora, il sorgo fornisce granella di ottima qualità per l’industria mangimistica, con un elevato contenuto di nutrienti, in particolare proteine. Sia i tipi da granella che quelli da foraggio producono quantità interessanti di biomassa con valori nutritivi certamente non inferiori a quelli di altri cereali, utilizzabile sia come insilato zootecnico che nella catena energetica del biogas.
Anche l’industria alimentare si sta interessando al sorgo, visto che l’assenza di glutine lo rende adatto a fornire prodotti per soggetti celiaci o intolleranti.
Riguardo la capacità produttiva, una notizia molto interessante arriva dagli USA.
Ricercatori del CSHL-Cold Spring Harbor Laboratory e dell’Agricultural Research Service dell’USDA sono riusciti sperimentalmente a raddoppiare la resa del sorgo, che negli Stati Uniti è mediamente di 72 bushels per acro, vale a dire circa 4,5 tonnellate per ettaro (in Europa la media è più alta, sulle 6 t.).
Si è arrivati a questo risultato intervenendo sul gene denominato MSD2, il quale è in grado di aumentare esponenzialmente la fertilità del fiore femminile, grazie ad una riduzione dell’acido jasmonico. Quest’ultimo è un fitormone implicato nello sviluppo di polline e semi.
La scoperta è di particolare interesse, soprattutto se si considera che lo stesso meccanismo biochimico funziona in altri cereali come mais e riso, quindi anche queste specie potrebbero essere migliorate seguendo questa via.
Alla luce di quanto detto, è opportuno che tutta la filiera produttiva, dalle case sementiere, ai distributori di mezzi tecnici, agli agricoltori, agli stoccatori, infine all’industria di trasformazione, prenda coscienza delle potenzialità del sorgo e dei grandi plus offerti da questa specie, rivedendo convinzioni e consuetudini fortemente consolidate, ma ormai in parte superate e non più in linea con le esigenze dell’attuale agricoltura, che ha nella resilienza, nella sostenibilità e nell’adattabilità i suoi ormai irrinunciabili pilastri.