Chi ha studiato le Scienze Agrarie sicuramente ricorda bene il capitolo dedicato alla rotazione delle colture e ai suoi vantaggi, tanto che si sarà chiesto perché questa pratica è stata così poco osservata nell’agricoltura moderna.
Gli agricoltori del passato, pur non avendo frequentato istituti ed atenei, conoscevano bene le rotazioni e i benefici che queste apportano, poi i loro nipoti negli anni ’70 e successivi del secolo scorso hanno deciso di inseguire i maggiori redditi che l’agricoltura fortemente intensiva (leggi monocoltura) poteva assicurare.
Naturalmente le monocolture non sono tutte uguali: c’è quella quasi obbligata delle regioni meridionali, dove le alternative al frumento duro sono poche e difficili da applicare, e c’è quella della pianura Padana (ma anche di altre parti del mondo), basata sul mais, che ha temporaneamente arricchito i produttori ma allo stesso tempo ha lasciato un’eredità fatta di infestazioni di sorghetta e altre erbe, suoli impoveriti e un ambiente affetto da vari problemi.
Risultato? Retromarcia verso un’agricoltura a impatto sostenibile, un po’ per convinzione e molto per le recenti disposizioni di politica agraria dell’Unione Europea.
Da una delle zone più vocate alla coltivazione del mais, lo stato americano dell’Illinois, arrivano i risultati di una ricerca che offre nuovi importanti elementi a supporto della rotazione colturale.
Gli studi sono stati compiuti dal Department of Crop Sciences dell’University of Illinois e sono particolarmente degni di attenzione perchè si basano su osservazioni compiute in un periodo di 20 anni.
In questo lasso di tempo sono state testate le emissioni di gas serra da terreni interessati da mono successione di mais e di soia, rotazione biennale mais-soia e triennale mais-soia-frumento, con lavorazioni del terreno o in regime di semina su sodo.
Si sono notati due risultati a favore della rotazione: aumento di produzione del 20% e riduzione dell’emissione di ossido nitroso pari a circa il 35%.
L’ossido nitroso è un gas serra ad elevata attività, con una capacità di produrre riscaldamento globale 300 volte superiore al più noto diossido di carbonio. Le sue emissioni sono direttamente proporzionali alle fertilizzazioni azotate che si effettuano in primavera sul mais, infatti non si notano su terreni coltivati a soia, normalmente non azotati.
Va tenuto presente che l’ambiente della ricerca, le fertilissime pianure dell’Illinois che offrono livelli produttivi di eccellenza per il mais, ha sicuramente influenzato i risultati, che in altre aree potrebbero quindi non essere gli stessi.
Fonte: Seed World Daily 25/05/2018.