LA BIODIVERSITÀ’ CI SALVERÀ’ MA SERVE IL GENOME EDITING

Che la biodiversità racchiuda le risorse per salvare il genere umano, permettendo ai ricercatori di realizzare nuove varietà resilienti per produrre di più, ormai è abbastanza evidente.
La ricerca in campo vegetale è sempre più orientata a studiare le così dette tipologie selvatiche per cercare tratti genetici che possano migliorare le varietà moderne e conferire a queste vari caratteri che le completino e le adattino alle esigenze attuali.
Una specie particolarmente sotto i riflettori è il frumento tenero, per motivi facilmente comprensibili: è la coltura più diffusa nel mondo e insieme al riso fornisce più del 50% delle calorie assunte dal genere umano.
Le attuali varietà a disposizione degli agricoltori sono molto migliorate negli ultimi 50-60 anni, in termini di produttività, di qualità panificatoria, di tolleranza a vari patogeni, ma non basta.
Oggi le produzioni di frumento, in molte aree del mondo inclusa l’Europa, sono minacciate o quanto meno limitate dagli anomali andamenti climatici che si registrano da una trentina d’anni. La ricerca nell’ultimo mezzo secolo ha inseguito, e in buona parte raggiunto, i vari obiettivi sopra indicati, ma in questo lavoro di selezione il patrimonio genetico del frumento ha perso altre caratteristiche, in particolare quelle legate alla rusticità delle piante, di cui oggi si sente la mancanza.
Ora l’obiettivo sta diventando “more crop per drop“, cioè ottimizzare l’utilizzo delle risorse idriche, messo in difficoltà dall’aumento delle temperature e dalla contemporanea irregolarità delle precipitazioni.
Va in questo senso un interessante lavoro realizzato da ricercatori della University of Nebraska-Lincoln, pubblicato sul Plant Biotechnology Journal.
Il gruppo di lavoro ha inserito in una varietà attuale un gene proveniente da un frumento selvatico, ottenendo una migliore tolleranza alla siccità, grazie ad un potenziamento dell’apparato radicale.
Non solo: le piante migliorate presentano chicchi più grossi anche quando non vi sono condizioni siccitose, e questo ha sorpreso positivamente i ricercatori. In pratica, il miglioramento della resistenza alla siccità sembra non comportare aspetti negativi in altri caratteri, anzi.
Questo tipo di interventi ha un limite, che è il tempo necessario per arrivare al risultato. Le tecniche tradizionali prevedono tempi non inferiori a 8-10 anni per costituire una nuova varietà, con conseguenti costi piuttosto levati, quantificabili nel 15-20% del fatturato delle aziende sementiere.
Oggi la possibilità di accorciare enormemente i tempi c’è e sarebbe a disposizione di tutti: si chiama genome editing.
Per togliere il condizionale serve la volontà politica dell’Unione Europea, in questo senso molto conservatrice, al limite dell’oscurantismo.
Il futuro dell’agricoltura ha bisogno di scienza e la ricerca vegetale pubblica e privata è unita in questa battaglia.