Il frumento è da lungo tempo uno dei cereali più importanti per l’alimentazione, dal Mediterraneo al nord Europa, dalle Americhe ai paesi arabi, all’Australia.
10.000 anni fa l’uomo cominciò la domesticazione del farro selvatico, e i frumenti moderni derivano da quell’antico (stavolta il termine è veramente appropriato!) cereale: si cominciò a coltivare il frumento duro in Egitto nel 300 a. C., poco più tardi lo spelta e il frumento tenero.
In 100 secoli vari fattori naturali (mutagenesi, incroci spontanei) e indotti (selezione genetica) hanno mutato genotipo e fenotipo dei frumenti. Le varietà attuali sono sicuramente più produttive: è stato calcolato che dal 1970 il lavoro dei ricercatori ha permesso un aumento di resa annuo pari a circa 20 kg. per ettaro; dagli anni ’90 si è molto lavorato per migliorare la qualità, intesa come tenacità del glutine, contenuto proteico, colore, come richiesto dalla filiera. Più recentemente la ricerca si è dedicata ai fattori nutritivi, ad esempio per l’ottenimento di varietà povere di gliadina adatte all’alimentazione dei celiaci, oppure a tipologie resistenti agli stress derivati dai cambiamenti climatici o tolleranti varie patologie.
L’innovazione procede senza soste e gli obiettivi si adeguano ai tempi. Questo continua necessità di migliorare ha spinto un gruppo di ricercatori della Kansas State University, in collaborazione con Agricolture Victoria of Australia, l’University of Minnesota e la canadese University of Saskatchewan, ad analizzare la sequenza genomica di circa 1.000 linee di frumento provenienti da varie parti del mondo, contraddistinte da differenti condizioni ambientali.
Sono state confrontati i codici genetici e sono state trovate ben 7 milioni di differenze tra le 1.000 linee testate.
Questa esplosione di biodiversità è stata originata dall’inserimento, durante il tempo, di selezioni di frumento in nuovi ambienti e dalla conseguente interazione tra tipi coltivati e spontanei.
Il fenomeno viene definito flusso genico e ha un interesse non soltanto accademico. Infatti, secondo Eduard Akhunov, che ha guidato il gruppo della K-State, lo studio dei cereali selvatici può fornire spunti molto interessanti per l’innovazione dei prossimi anni, chiamata a fornire varietà resilienti e con nuove valenze nutritive.
Si può quindi dire che l’agricoltura smart, nuova parola d’ordine per vincere le sfide dei prossimi decenni, avrà bisogno anche di “pescare” caratteri e tratti genetici nei genotipi più antichi.
Quindi il frumento del futuro avrà un’anima antica.