Fin dalla sua approvazione, tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, il Green Deal dell’Unione Europea ha suscitato reazioni contrastanti e un acceso dibattito. Questo pacchetto di iniziative si propone di ottenere la neutralità climatica entro il 2050. Attraverso la tappa fondamentale del 2030, l’Europa sarebbe il primo continente ad aver raggiunto le zero emissioni nette di gas serra. Un obiettivo importantissimo per la salute del pianeta e dei suoi abitanti, ma quale sarebbe il “prezzo” da pagare per i cittadini e i settori produttivi, in particolare per l’agricoltura? La sostenibilità ambientale come si rapporta con quella economica? In particolare: i tempi previsti sono attuabili, senza ripercussioni negative in altre direzioni? Queste le domande che sono sorte e sulle quali si sta discutendo. Ad un primo orientamento piuttosto radicale e forzato, sembra possa seguire una seconda fase più morbida e riflessiva, dopo che il parlamentare olandese Timmermans, principale fautore del Green Deal, si è dimesso dalla Commissione Europea per candidarsi alle elezioni olandesi (vinte dal partito avversario).
L’agricoltura sotto accusa
La strategia Farm to Fork, una delle colonne del Green Deal europeo, ha come obiettivo un sistema alimentare sano, accessibile e sostenibile. Per attuare quest’ultimo punto, cioè la sostenibilità delle produzioni agricole, è prevista una riduzione, entro il 2030, dell’uso del 50% dei fitofarmaci e del 25% dei fertilizzanti di sintesi; inoltre si vuole portare la coltivazione con metodo biologico al 25% della superficie coltivata (oggi è l’8% a livello europeo). Gran parte del mondo agricolo e scientifico ha reagito contestando queste azioni. Innanzitutto si ritiene che la drastica riduzione dei mezzi tecnici a base chimica, in un tempo così breve, e un aumento forzato del biologico, possano portare a sensibili perdite produttive. La conseguenza sarebbe un calo della sicurezza alimentare, un incremento del costo degli alimenti e una perdita di reddività per gli agricoltori. Tra l’altro, aumenterebbero le importazioni di materie prime, specialmente dal Sud America, con lunghi trasporti a forte impatto ambientale. Oltre a queste inevitabili negatività, il Farm to Fork sembra mettere il settore agricolo sul banco degli imputati, quale attività inquinante. In realtà gli agricoltori sono fortemente impegnati a fornire cibo di qualità nonostante i cambiamenti climatici e la pressione dei patogeni. Anche durante il periodo del Covid-19 la produzione non ha subito interruzioni. Gli agricoltori possono produrre in modo più sostenibile, e da anni stanno riducendo l’uso dei fitofarmaci, ma se ne venissero privati drasticamente (come previsto dal Farm to Fork), dovrebbero poter contare su mezzi alternativi. Questi sono rappresentati dall’agricoltura di precisione, il cui inserimento procede lentamente causa i costi considerevoli e la preparazione non adeguata di molti operatori, e le TEA-Tecniche di Evoluzione Assistita, in discussione in sede europea ma che non saranno disponibili prima di alcuni anni. Quindi occorre procedere con un approccio non ideologico e che tenga conto delle esigenze produttive, che restano primarie.
Un nuovo approccio
In un recente messaggio, la presidente della Commissione Europea von der Leyen ha finalmente cambiato tono, riconoscendo che: «…troppe volte gli agricoltori sono stati incolpati del cambiamento climatico, mentre sono i custodi della terra e le prime vittime del cambiamento climatico.” Non basta: nel recente discorso sullo stato dell’unione, ha annunciato l’apertura di un “dialogo strategico” sul futuro dell’agricoltura. Insomma, finalmente la visione di un ruolo centrale del settore agricolo, in un contesto di collaborazione e non di colpevolizzazione, purtroppo voluto da alcune parti politiche. Su come attuare queste buone intenzioni, al momento non è noto, ma il subentro dal vicepresidente della Commissione, lo slovacco Šefčovič, quale responsabile della gestione delle politiche climatiche, sembra aprire la strada ad un dialogo più ragionato e privo di estremismi. Se lo augurano le associazioni agricole, che per coniugare i 3 pilastri della sostenibilità, economico, ambientale e sociale, invitano ad investire nelle 4F: Food/Feed/Fuels/Fibres.
07/01/2024 Franco Brazzabeni