E’ tempo di bilanci e previsioni per il settore del grano duro. E’ un mercato particolare, diverso da quello del “cugino” grano tenero. Pochi i paesi produttori, anche se in aumento: su tutti il Canada, poi l’Italia, la Turchia, il nord Africa (Algeria e Tunisia soprattutto), la UE con Francia Grecia e Spagna, ma anche Messico, USA, India e Kazakistan. Pochi anche i grandi consumatori, concentrati nell’area mediterranea.
La situazione in Italia e nel mondo
Sono diversi gli organismi qualificati, a livello nazionale e internazionale, che studiano il mercato e pubblicano periodicamente dati e previsioni. Parliamo di Commissione Europea, Coceral, Strategie Grains, IGC-International Grains Council. Pur con alcune differenze, le varie fonti nell’aggiornamento di agosto stimano la produzione EU in calo rispetto alla scorsa campagna; situazione analoga in nord Africa e Turchia, mentre in Canada e Usa il raccolto è superiore al 2019. Complessivamente la produzione mondiale è in aumento di 700.000 tonnellate dallo scorso anno. Altro dato importante riguarda i consumi di grano duro, calcolati in costante salita, quasi tutto destinati a utilizzo industriale/alimentare. Incrociando i due elementi, produzioni e consumi, l’inevitabile risultato è un sostanzioso aumento delle esportazioni soprattutto dal Canada verso vari paesi, mentre quelle da UE sono in netto calo.
Gli esperti parlano quindi di mercato in tensione, dato che le produzioni hanno subito comunque perdite importanti, i consumi restano vivaci e l’interscambio mondiale si conferma stabile. Alla fine, il dato più sensibile è quello degli stock finali a livello mondiale, che con 7,9 milioni di tonnellate stimati per l’estate 2021 registrerebbe un -10% sul 2019/20 e addirittura – 21% sul 2018/19, una cifra che fa rumore e che spiega una certa vivacità nei prezzi, che potrebbe confermarsi nei prossimi 12 mesi.
Il successo del prodotto 100% nazionale
ISMEA in un recente rapporto ha confermato il successo di una strategia produttiva e commerciale, attuata da grandi e piccoli pastifici italiani: la pasta 100% made in Italy.
L’iniziativa era già stata adottata da realtà artigianali, con spiccata vocazione al prodotto del territorio, ma recentemente è divenuta propria anche delle maggiori realtà industriali, sia pure ancora a livello di intento e di messaggio di marketing, che si sta comunque rivelando efficacissimo. E’ noto che l’autosufficienza del nostro paese non va oltre il 65%, quindi sono indispensabili le importazioni, anche per la necessità di grani ad alto tenore proteico. Resta il fatto che il consumatore è sempre più orientato a scegliere il prodotto autoctono, sia per questioni ideologiche, sia per la convinzione che il grano importato sia meno affidabile, vedi la questione dei residui veri o presunti di glyphosate o di altri fitofarmaci, ma anche gli aspetti sanitari legati alla presenza di patogeni e di micotossine. Di fatto, nel 2019 le vendite di confezioni di pasta a marchio 100% italiana sono cresciute del 13% e oggi rappresentano il 20% del totale.
L’importanza della filiera
Quella dei pastifici è una mossa opportunistica e coraggiosa nello stesso tempo, avvalorata e supportata dalla costante crescita dei contratti di filiera, ormai indispensabili per garantirsi la fornitura di materia prima in misura sempre crescente ma anche dotata di alta qualità che non faccia rimpiangere il prodotto estero. Non solo, la filiera compensa gli agricoltori con un prezzo equo per ripagare i necessari investimenti propri di una granicoltura professionale.
Il Protocollo grano duro-pasta è ormai il modello di riferimento per attuare contratti soddisfacenti per tutti, grazie alla collaborazione di tutti gli attori della filiera, delle Organizzazioni professionali degli agricoltori, ad Assosementi, alle strutture cooperative, alle associazioni dei commercianti, dei pastai e dell’industria alimentare.