GRANO DURO, ALLARME PREZZI

Gli ultimi 12 mesi sono stati molto movimentati per quanto riguarda i prezzi delle commodities agricole a livello mondiale. Dopo che il quinquennio 2014-2019 era decorso in calma piatta, con prezzi relativamente bassi e stabili a causa delle produzioni ovunque abbondanti e degli stoccaggi su valori elevati, a metà 2020 la situazione è decisamente cambiata. I prezzi di cereali e soia si sono impennati: il FAO Food Price Index (basato su un paniere che comprende cereali, semi oleosi, zucchero, latticini e carne) ha registrato a luglio 2021 +29,6% rispetto ad un anno prima. Andando nel dettaglio, nel periodo giugno 2020-giugno 2021 il prezzo del mais ha segnato un record di +72% e quello degli oli vegetali addirittura di +80%. I motivi sono stati individuati in alcuni fattori chiave, segnatamente le conseguenze del Covid-19 sugli scambi internazionali, i forti acquisti della Cina per compensare il proprio deficit di materie prime, le incertezze legate ai cambiamenti climatici. Risultato finale: scorte in sensibile calo e mercati in fibrillazione. Nelle ultime settimane si è assistito a qualche ridimensionamento delle quotazioni, ma gli analisti ritengono che sussisteranno ancora per mesi condizioni tali da mantenere le stesse su livelli elevati rispetto al recente passato.

Il grano duro fa storia a sé

Il frumento duro segue dinamiche in parte diverse dalle principali commodities agricole, avendo un numero limitato sia di produttori che di acquirenti. In questo momento l’attenzione è puntata sulle stime di produzione 2021-2022. Per alcune aree le previsioni, che tengono conto delle superfici investite e dell’andamento climatico, sono rialziste: sia EU (primo produttore mondiale) che Messico +8,3%, Kazakhstan +40%. Per il nord America le difficili condizioni climatiche inducono invece al pessimismo, che si traduce in un possibile -27% in Canada (secondo produttore) e -47% negli USA. In totale, la produzione dei maggiori esportatori passerebbe dai 17,9 milioni di tonnellate del 2020-21 ai 16,1 del 2021-22, con una perdita del 10%. La produzione mondiale scenderebbe da 33,8 tonnellate del 2020-21 a 33,1. Nel 2018-19 fu di 37 milioni. A preoccupare i mercati è la siccità che da alcune settimane affligge USA e Canada.

Mercati al rialzo, industria preoccupata

L’Italia, primo produttore di pasta al mondo, importa attualmente il 42% del grano duro necessario ai fabbisogni dell’industria, pari a oltre 3 milioni di tonnellate annue. Se consideriamo che quasi la metà di questa materia prima arriva dal Canada e il 21% dagli USA, non è difficile prevedere una corsa agli acquisti e un conseguente aumento dei prezzi. Le piazze nazionali, alla ripresa delle trattative dopo il raccolto, stanno reagendo in questa direzione: all’Ager di Bologna la media mensile di luglio per il nazionale nord Fino è stata di 316 euro a tonnellata, contro 292 di giugno e 294 di luglio 2020. A impressionare sono le punte di fine luglio e inizio agosto, dai 348 euro di Bologna, ai 382 di Foggia, mentre il grano canadese ha superato i 400. Questa tendenza potrebbe confermarsi nel breve/medio periodo, dato che gli stock finali mondo, secondo l’IGC, sono stimati a 6,8 milioni di tonnellate, in netto ribasso rispetto allo stesso periodo 2020 (-16%).

I produttori di grano duro, dopo anni di quotazioni insoddisfacenti poco al di sopra o anche al di sotto dei 200 euro, accarezzano il traguardo dei 400 euro superato nel novembre 2014. Al contrario, l’industria pastaria esprime forti preoccupazioni per gli scenari dei prossimi mesi. Una ragione in più per incrementare, attraverso lo strumento degli accordi di filiera, la garanzia dell’approvvigionamento di prodotto nazionale, a condizioni equilibrate per tutte le parti.

 

Franco Brazzabeni