FRUMENTO TROPICALE: RIVOLUZIONE IN VISTA?

Lo chiamano frumento tropicale e potrebbe rappresentare una vera rivoluzione per l’agricoltura e la sicurezza alimentare di Paesi come Brasile, Senegal, Nigeria, Australia e molti altri.

Il frumento è la terza specie più coltivata al mondo e fornisce al genere umano il 20% delle calorie e delle proteine necessarie. E’ presente principalmente nell’emisfero nord del pianeta, in quanto le varietà disponibili delle specie durum ed aestivum sono adatte a climi temperati o freddi e necessitano di una certa quantità d’acqua per svilupparsi. Le aree maggiormente interessate alla produzione sono il nord America, l’Europa, il bacino del Mar Nero e l’Australia. Finora la coltivazione nelle zone tropicali è rimasta molto limitata, a causa dell’impossibilità di ottenere raccolti soddisfacenti, mentre la domanda è fortemente cresciuta. Ora sembra che grazie alla ricerca siano in arrivo novità vegetali che potrebbero cambiare questo scenario in modo significativo.

Novità importanti dal Brasile

Dopo 40 anni di lavoro, i ricercatori e gli agronomi di Embrapa-Brazilian Agricultural Research Corporation hanno messo a punto varietà di frumento in grado di svilupparsi in zone tropicali, come il cerrado, caratterizzato da alte temperature e scarse precipitazioni. I primi risultati sono molto positivi: il frumento tropicale ha una potenzialità produttiva vicina alle 10 tonnellate ad ettaro, circa il triplo di quella offerta dalle varietà attualmente impiegate. Grazie a queste nuove piante, e anche ad un allargamento della superficie coltivata in virtù dei prezzi favorevoli, la produzione brasiliana di frumento è salita dai 6,2 milioni di tonnellate del 2019 ai quasi 10 del 2022. L’obiettivo è acquisire l’autosufficienza, ma anche diventare un paese esportatore, come già succede per mais, soia e zucchero. Il frumento tropicale è un grano duro ottenuto incrociando con metodi tradizionali tipi locali con materiali provenienti da Messico ed Europa. La granella presenta un elevato tenore proteico, intorno al 15%, ed è adatta alla produzione di pasta e pane. Questo frumento si semina da marzo a giugno, quindi è complementare a mais e soia, il cui ciclo va da ottobre a febbraio. Ciò significa che la sua coltivazione potrà espandersi senza bisogno di deforestazione. La sfida non è solo agronomica, in quanto il Brasile dovrà dotarsi di strutture e organizzazione logistica per gestire una massa di prodotto finora in gran parte importata.

 La “folle idea” di Icarda

Un progetto di Icarda, centro di ricerca dedicato alle zone aride, si è svolto negli ultimi cinque anni grazie al lavoro di ricercatori della Swedish University. L’obiettivo era quello di costituire nuove varietà di frumento duro adatte alla coltivazione nella savana africana. Un’idea controcorrente quella di voler coltivare grano in Senegal, ma incrociando materiali selvatici con altri già utilizzati, è stato possibile ottenere nuove varietà, in grado di produrre, in appena tre mesi, 6 tonnellate ad ettaro, con minori esigenze idriche del riso e un contenuto proteico molto superiore. Questo frumento tropicale è ritenuto adatto alla coltivazione in varie regioni africane ed asiatiche, dove potrà fornire un importante contributo alla sicurezza alimentare, diminuendo la dipendenza dalle importazioni. Un lavoro in parallelo è in corso di svolgimento in Australia a cura di CSIRO, anche qui con l’obiettivo di ottenere nuovi tipi di frumento in grado di essere coltivati nelle aree calde e secche del Paese. Queste varietà possono essere seminate anticipatamente e dispongono di un lungo coleoptile che, grazie anche alla profondità di semina, può facilitare l’approvvigionamento idrico della pianta ed accorciare i tempi di germinazione ed emergenza. Secondo i ricercatori, queste caratteristiche permettono un incremento produttivo intorno al 20%, con un maggior reddito annuale per gli agricoltori australiani stimato in 1,5 miliardi di dollari. Queste novità genetiche, unite ad un’appropriata tecnica colturale, potranno essere estese ad altre specie di cereali ed esportate in altri continenti, Europa inclusa, per fronteggiare il cambiamento climatico e l’aumento della temperatura.

16/04/2023

Franco Brazzabeni