Quella del frumento è una delle coltivazioni più antiche e più diffuse sulla terra. Originato dallo spelta, il frumento tenero era noto ad Etruschi, Celti ed Euganei e fu ampiamente diffuso dai Romani. Il frumento duro sembra essere stato coltivato in Egitto dal 300 a.C..
Dopo secoli di selezione massale, negli ultimi 100 anni la ricerca genetica ha profondamente inciso nei genotipi di queste specie, con incrementi esponenziali di produzione, aumento della tolleranza a vari patogeni e quindi della sanità del prodotto, inserimento della resilienza a fattori abiotici come la siccità e le alte temperature, miglioramento del valore nutritivo e altro.
Ovviamente questi obiettivi restano di grande importanza nelle agende dei ricercatori, ma da qualche anno se ne stanno aggiungendo altri, legati alle nuove tendenze ed esigenze alimentari.
Tra queste, la più sentita sembra riguardare gli alimenti privi di glutine.
La richiesta parte da due categorie ben distinte di consumatori.
Da una parte i seguaci di una moda sostenuta da alcuni v.i.p. che rientra nel contesto definito health halo (letteralmente “alone di salute”), cioè la percezione che un cibo (in questo caso gli alimenti catalogati gluten-free) faccia bene anche se non vi sono evidenze scientifiche a confermarlo; addirittura si producono alimenti privi di glutine per animali!
Dall’altra vi sono le persone nelle quali il glutine scatena una reazione autoimmune nell’intestino tenue, responsabile di nausea e gravi problemi digestivi. 1 persona su 100 nel mondo soffre di questa patologia, conosciuta come celiachia.
Vi sono poi meno gravi casi d’intolleranza, o “sensibilità al glutine non celiaca”, dove però entrano in gioco anche altre proteine e saccaridi e l’effettiva influenza del glutine è lungi dall’essere certa.
Comunque sia la richiesta di alimenti privi delle proteine del glutine vale un giro d’affari importante e in continua crescita, sia in Europa che negli USA.
Ecco allora pasta e prodotti da forno derivati da farine di mais, riso, sorgo e altre specie, con eliminazione del frumento tenero e duro dalla dieta.
Vari ricercatori stanno cercando una soluzione e forse il dottor Sachin Rustgi della Clemson University l’ha trovata. Il gruppo di lavoro da lui diretto comprende anche ricercatori della Washington University e di istituzioni cilene, francesi e cinesi.
Le nuove varietà sono state ottenute inserendo due enzimi chiamati glutenasi, provenienti dall’orzo e da un batterio. Grazie alla loro azione, i due terzi del glutine indigeribile per i celiaci, o glutine “cattivo”, sono scomposti nell’organismo. Queste nuove linee devono ora affrontare altri test come le prove agronomiche e le analisi della qualità tecnologica, prima di essere poste in commercio.
Gli obiettivi raggiunti non sono ancora considerati pienamente soddisfacenti dai ricercatori, che ora vogliono alzare l’asticella e arrivare ad una riduzione del glutine pari al 90%, tale da permettere ai celiaci di reinserire il frumento nella dieta e beneficiare delle sue proprietà nutritive, come la vitamina B, il ferro, il magnesio e l’acido folico.
Inoltre è fondamentale che le nuove varietà siano ottenute con tecniche di ricerca accettabili da parte dei consumatori. Esclusa per l’Europa la modificazione genetica, l’attenzione si concentra sui CRISPR e altre nuove tecniche di breeding basate sulla genomica.
Non solo genetica: si sta anche studiando come la concimazione con azoto e zolfo possa influenzare la quantità di glutine nel seme.
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