La campagna semine dei grani 2021 è ancora in svolgimento, dunque è presto per tracciare bilanci definitivi. Di certo, non sono mancati e ancora non mancano argomenti di discussione, a proposito della convenienza o meno a seminare. Da un lato vi sono le quotazioni di mercato della granella, che rispetto allo stesso periodo del 2020 hanno registrato aumenti record. Il grano duro, a causa della forte riduzione dell’offerta canadese e statunitense dovuta alle avversità climatiche, ha sfondato quota 550 euro a tonnellata sia a Bologna che a Foggia. All’estero la qualità inferiore ha tenuto le quotazioni sotto i 500 euro in Francia, mentre gli USA sono in linea con 15 dollari per bushel, valori comunque molto elevati. Il frumento tenero, dopo una pausa, ha ripreso a correre e ad inizio novembre è stato oggetto di consistenti rialzi, superando a Milano e Bologna i 310 euro a tonnellata per il panificabile e i 340 per i grani di forza.
L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA
E’ rappresentata dai costi di produzione, che pure hanno subito una notevole impennata. I fitofarmaci al momento registrano un +30% per i disseccanti presemina, per quelli ad uso primaverile ancora non si possono fare previsioni. Il costo dei concimi ureici attualmente è superiore del 70% rispetto al 2020; ciò è dovuto all’aumento del gas, più che raddoppiato. La conseguenza è stata una riduzione della produzione di urea e il forte incremento di prezzo dovuto alla minore quantità offerta. I fertilizzanti fosfatici sono interessati anche dall’aumento del costo delle materie prime minerali, mentre per i potassici incide il divieto delle EU di utilizzare cloruro di potassio della Bielorussia, secondo produttore mondiale. C’è poi da considerare l’aumento dei prodotti petroliferi, ai massimi dal 2014, che ha influito pesantemente sui trasporti internazionali delle merci. Anche il gasolio agricolo ha subito forti incrementi di prezzo (+57% rispetto a ottobre 2020), il che ha quasi raddoppiato i costi di lavorazione e semina autunnali.
RIFLETTORI SUL SEME
Vi sono aumenti significativi anche per il prezzo del seme di frumento, strettamenti legati ai valori di mercato della granella. Questi ultimi, rispetto all’autunno 2020 (medie ottobre Ager Bologna), registrano +85% per il duro e +44% per il tenero. Il seme, pur nella notevole varietà delle offerte, oggi costa mediamente circa 175 euro ad ettaro per il duro e 130 per il tenero: un aumento rispettivamente del 47% e del 28% rispetto allo scorso anno, del tutto in linea con le mercuriali su cui si basano i contratti di coltivazione tra ditte sementiere e produttori.
Eppure, nonostante il seme sia aumentato molto meno degli altri mezzi tecnici, è nel mirino di una parte degli agricoltori, che hanno considerato l’ipotesi di effettuare la risemina aziendale. Pensare che in questo modo si risparmi è un’illusione, dato che l’importo della certificazione è pari a non più del 2% del totale dei costi di produzione, vale a dire tra 25 e 30 euro per ettaro, ammesso che il seme aziendale produca come quello certificato. Di certo, quest’ultimo garantisce, grazie ai controlli CREA, germinabilità, sanità e purezza a norma, oltre a una lavorazione effettuata da personale qualificato in stabilimenti autorizzati.
Insomma, ripiegare sul seme non certificato è una scelta che, a fronte di un presunto minimo risparmio, comporta il forte rischio di un prodotto di bassa qualità, inadatto ad un’agricoltura professionale. Non è un caso che le filiere ormai richiedano obbligatoriamente l’uso del seme certificato, anche per garantire la tracciabilità del prodotto, altrimenti inattuabile.
Franco Brazzabeni