Nei giorni scorsi l’Europarlamento, con 452 voti a favore e 170 contrari, ha approvato la risoluzione sulla strategia Farm to Fork. Questa si prefigge di sviluppare un sistema alimentare sano, accessibile e sostenibile, attraverso una riduzione, entro il 2030, del 50% dei fitofarmaci e del 25% dei fertilizzanti e l’aumento della coltivazione in biologico al 25% della superficie coltivata. Secondo gli autori, si tratta di scelte in linea con le richieste espresse dai consumatori europei (vedi i risultati del sondaggio Eurobarometer) e con la necessità di ridurre l’uso di risorse naturali e di divulgare un’alimentazione più sana.
Di Farm to Fork si parla dal 2020: alla sorpresa iniziale, è subentrato da parte di molti operatori del settore un sempre più consistente scetticismo, basato su vari elementi oggettivi.
Un impatto negativo su economia e qualità
Appare chiaro, a chiunque abbia minime cognizioni di agricoltura, che ridurre in modo indiscriminato alcuni fondamentali fattori produttivi e nello stesso tempo incrementare notevolmente le coltivazioni biologiche, non può che portare a un significativo calo di produzione delle materie prime. L’entità di questo decremento è stata studiata da varie istituzioni, sia in USA che in EU. In particolare, la Wageningen University and Research ha calcolato una perdita media di produzione agricola, rispetto ad oggi, tra il 10 e il 20%, con variazioni anche notevoli da una specie all’altra. Le conseguenze di questo fatto sarebbero molteplici, tutte in senso negativo. Innanzitutto una perdita di reddività per gli agricoltori, già messi in difficoltà dai cambiamenti climatici, ma anche un incremento dei prezzi della materie prime che ricadrebbe su tutti i consumatori. Conseguentemente, un calo dell’export e un aumento delle importazioni, a discapito della bilancia commerciale europea. Non solo: la riduzione dell’uso di farmaci e concimi ridurrebbe la qualità dei prodotti, sia per il possibile aumento di micotossine che per il calo di nutrienti. Da non trascurare che il minor impatto ambientale in Europa, unico aspetto positivo (sia pur da quantificare), comporterebbe un effetto contrario nei Paesi extra europei esportatori, per quanto riguarda la perdita di biodiversità e il bilancio di CO2. Si pensi semplicemente ai possibili disboscamenti in sud America per coprire le produzioni mancanti in Europa.
Verso un’agricoltura estensiva?
E’ evidente che gli autori della Farm to Fork hanno tenuto nella massima considerazione le attese di cittadini ed ambientalisti, senza considerare il parere del mondo produttivo. In altre parole, per inseguire la possibile riduzione dell’impatto ambientale delle coltivazioni si è trascurato di valutare l’inevitabile impatto economico (sugli agricoltori, ma anche su tutti i cittadini) delle relative scelte. Il rischio è quello di tornare indietro, verso un’agricoltura anacronistica. E’ stato calcolato da OCSE-FAO che le produzioni agricole dovrebbero aumentare del 15% entro il 2028, per soddisfare una popolazione globale in aumento. L’Europa invece va verso un’estensivizzazione dell’agricoltura, verso minori produzioni e redditi agricoli.
Siamo in vicolo cieco? No, se si usa il buon senso e non la demagogia. Il ridimensionamento degli obiettivi posti, l’introduzione immediata delle TEA, il viraggio deciso verso l’agricoltura integrata e di precisione possono permettere un minore impatto ambientale senza diminuire le produzioni ed evitare i gravi rischi che le attuali strategie comportano.
Franco Brazzabeni