Le chiamano cover crops, sono le specie da copertura, il cui compito non è dare un raccolto ma al contrario far “riposare” il terreno e rigenerarlo attraverso una serie di effetti virtuosi.
L’agricoltura opportunistica e, sia concesso il termine, un pò “di rapina” che ha caratterizzato tante aziende negli ultimi decenni ha sempre snobbato queste coltivazioni, preferendo puntare a produrre il più possibile in un’ottica di brevissimo periodo, cioè senza programmare e senza tener conto degli effetti negativi che questa filosofia di “vivere alla giornata” avrebbe portato.
Ebbene, ora i nodi sono arrivati al fatidico pettine, sotto forma di terreni impoveriti e in deficit di fertilità, conseguenza di rotazioni strette o assenti e uso poco razionale e programmato di mezzi tecnici quali fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi.
In effetti le normative nazionali non hanno aiutato ad invertire la rotta: mentre in alcuni paesi esteri l’uso delle cover crops è addirittura obbligatorio, in Italia la PAC attuale prevede, con la Misura 10, che l’agricoltore possa seminare specie da copertura riscuotendo un premio, ma solo come seconda coltura, il che rappresenta un serio intoppo nelle aree zootecniche ove la produzione di insilato avviene con una rotazione cereale vernino più mais o sorgo. O si rinuncia a produrre il necessario foraggio o si rinuncia alla cover crop.
La reazione alle tecniche produttive indiscriminate del recente passato si chiama agricoltura conservativa, che intende recuperare l’equilibrio dei terreni e rispondere alla domanda di agricoltura sostenibile sempre più pressante da parte dei consumatori.
Le cover crops sono uno dei pilastri dell’agricoltura conservativa, per i fondamentali benefici che apportano al suolo:
– prevenzione dei fenomeni erosivi;
– limitazione delle perdite idriche;
– miglioramento della struttura del suolo;
– aumento di sostanza organica e nutrienti, soprattutto azoto disponibile;
– sviluppo di fauna e flora del terreno;
– incremento della biodiversità;
– competizione con la flora spontanea infestante;
– minori perdite di CO2, se vengono praticate limitate lavorazioni.
Il risultato è un generale aumento della fertilità e un probabile risparmio di costi di concimazione, ma anche un terreno più sano ed equilibrato, il che, parafrasando un famoso slogan, non ha prezzo.
L’agricoltura smart, quella di oggi e di domani, non può rinunciare a questa soluzione vincente e a basso costo.