L’Unione Europea è ormai stabilmente uno dei maggiori attori del commercio mondiale delle commodities agricole. L’ultimo rapporto, pubblicato dalla Commissione Europea lo scorso marzo, indica per il 2023 un valore record di export di 228,6 miliardi di euro, mentre l’import ha toccato i 158,6 miliardi. Il surplus positivo è stato generato soprattutto dall’andamento dei prezzi, sostenuti quelli dei prodotti in uscita e in calo per le materie importate. Queste ultime sono rappresentate principalmente da frutta fresca e a guscio, semi oleosi e proteici, caffè, cacao e the. Quote significative riguardano anche cereali, ortaggi, tabacco e zucchero.
L’EU è pertanto l’entità commerciale di riferimento a livello globale. Un gigante che, soprattutto per gli acquisti, si misura con Paesi esportatori a volte di livello economico importante, come Brasile, Regno Unito, Cina; più spesso con altri in qualche misura inferiori, quali Ucraina, Argentina, Turchia, Egitto, Indonesia e Costa d’Avorio. Un confronto che non può non indurre a considerazioni di carattere etico ed economico, per la ricaduta sui Paesi produttori, in particolare sugli agricoltori e sull’ambiente.
Biocapacità EU, un tema critico
In un sistema di economia globale come quello attuale, le scelte politiche e i comportamenti dei consumatori hanno inevitabilmente conseguenze anche pesanti nei Paesi produttori, soprattutto in quelli a basso potere contrattuale. Così un Green Deal che punta, almeno in teoria, a realizzare un’agricoltura ecologicamente sostenibile in Europa, con consistente riduzione dei mezzi tecnici, se applicato integralmente causerebbe un inevitabile calo di produzione interna, con conseguente aumento delle importazioni di materie prime, cereali e soia su tutte. Ciò produrrebbe una ricaduta negativa sull’ambiente nei Paesi fornitori e non solo, sia per la pressione produttiva, che per l’aumento dei trasporti a lungo raggio. Oggi si ritiene che i 5 grandi consumatori, tra cui la EU, siano responsabili del 61% della deforestazione globale. L’Europa concorre a tale situazione principalmente con la domanda di olio di palma e soia. Le aree maggiormente penalizzate sono il Sud America e il Sud-Est asiatico. Secondo studi recenti, tra il 2005 e il 2017 le importazioni dell’Unione Europea hanno determinato la deforestazione di 3,5 milioni di ettari nei Paesi produttori e tale valore potrebbe aumentare con l’incremento delle importazioni.
L’Europa non può non considerare le conseguenze della sua politica nel resto del mondo. Oggi sta superando la propria biocapacità, intesa come possibilità del proprio ecosistema di far fronte alle esigenze produttive. Per questo l’EU ha varato una serie di proposte, che però rischiano seriamente di danneggiare la biocapacità di altri Paesi per favorire la propria. Insomma, un Green Deal non così “verde” come sembra e decisamente egoistico. Quello che veramente serve al pianeta è promuovere filiere produttive più sostenibili e che non provochino deforestazione.
Attenzione al valore delle commodities
Sono doverose anche riflessioni di carattere economico, altrettanto importanti. Ogni commodity ha un suo prezzo, normalmente fissato con largo anticipo. Su tale prezzo gli agricoltori hanno di solito scarsa voce in capitolo. Infatti le contrattazioni dei cosiddetti futures avvengono in una piazza virtuale, spesso del tutto estranea ai luoghi di produzione. Questo sistema permette di muovere grandi quantità di beni in modo molto pratico, rapido e funzionale, ma al tempo stesso toglie trasparenza al mercato. Anche la presenza di organismi intermediari nelle trattative, a volte gli stessi Governi dei Paesi esportatori, spesso va contro l’interesse degli agricoltori. Questi ultimi sono anche esposti alla volatilità che da tempo sta interessando i mercati, generata da fattori geopolitici e dai cambiamenti climatici. Così capita che l’aumento del prezzo di una materia prima, per esempio il cacao attualmente alle stelle, abbia una ricaduta non immediata e diretta sul produttore.
Un grande importatore come l’Unione Europea deve porsi la questione e controllare che i prezzi pagati vadano a beneficiare gli agricoltori. Qualcosa di simile ai contratti di protezione con prezzo determinato a termine, che da qualche tempo si stanno diffondendo a livello nazionale.
16/08/2024
Franco Brazzabeni