Chi ha paura delle multinazionali nel settore dell’agricoltura?
Sicuramente molti cittadini europei sono almeno un po’ preoccupati, visto che la recente fusione dei due colossi Bayer e Monsanto ha provocato un’ampia eco nell’opinione pubblica, come testimonia l’invio di circa un milione di messaggi e petizioni sull’argomento alla Direzione generale della concorrenza presso la Commissione Europea per commentare l’avvenimento.
In effetti, il settore delle sementi e dei fitofarmaci è stato interessato negli ultimi decenni da una notevole concentrazione dei principali marchi.
Come rileva un interessante studio dell’OECD-Organization for Economic Co-operation and Development, a livello mondiale il gruppo già piuttosto ristretto dei sei principali attori (“Big Six”), a seguito delle ultime acquisizioni si è ulteriormente ridotto a quattro (“Big Four”): la già nominata Bayer-Monsanto, DowDuPont/Corteva, ChemChina-Syngenta e BASF.
La strategia che ha portato a queste maxi operazioni è chiara: grandi gruppi chimici e sementieri si sono uniti per rendere sinergiche le loro attività di ricerca, produzione e marketing nei due settori e per sviluppare il mercato degli OGM.
Di fatto, il giro d’affari di sementi + fitofarmaci delle “Big Four” stacca di gran lunga quello delle pur importanti multinazionali che seguono, le sementiere Limagrain e KWS. Passando alle cifre, questo significa che circa il 65% del seme nel mondo è venduto da quattro marchi.
Da qui nascono i timori di addetti ai lavori e cittadini soprattutto riguardo la libera concorrenza nel mercato e la quantità di innovazione prodotta.
Ma al di là delle cifre assolute, qual è l’effettivo livello di concentrazione nel mercato del seme?
Non è facile da calcolare, per vari motivi che possono rendere fuorvianti le statistiche. Innanzitutto bisogna considerare il seme aziendale, che se in Europa interessa il 30% circa delle semine, nei paesi emergenti si avvicina mediamente al 60%.
Inoltre si riscontrano notevoli differenze tra i diversi segmenti di mercato. In generale, colture come la barbabietola da zucchero, il girasole ed il cotone presentano una concentrazione dell’offerta di seme ben più elevata che i cereali a paglia. Ad esempio, in Italia il 95% del seme di mais è nelle mani di 5 multinazionali, mentre nel frumento i primi 10 sementieri non raggiungono insieme il 90%.
La ricerca di OECD rileva però che, ove il mercato è nelle mani di pochi, in realtà il prezzo medio tende piuttosto a ridursi, come accade in Italia per il mais. Allo stesso tempo non vi sono evidenze che alti livelli di concentrazione riducano l’innovazione nel settore del seme.
Alla fine, non sembra esserci nessun pericolo imminente, pur se è fondamentale che le Autorità preposte controllino costantemente il rispetto delle regole di mercato nonché la possibilità di accedere alle risorse genetiche da parte della ricerca pubblica e privata di medie-piccole dimensioni.