Il mercato italiano dei prodotti biologici nell’ultimo anno ha conosciuto un’ulteriore crescita: secondo i numeri forniti da Osservatorio SANA 2021 curato da Nomisma su dati Nielsen, AssoBio, Ismea e Agenzia ICE, nel periodo luglio 2020-luglio 2021 il giro d’affari per i consumi interni ha superato i 4,5 miliardi di euro (+4% rispetto l’anno precedente e +133% nel decennio). Anche l’export procede piuttosto bene, con un fatturato pari 2,9 miliardi (+11% annuale e +156% decennale).
Il carrello della spesa bio contiene soprattutto uova, confetture, bevande, latte, prodotti freschi (anche se questi ultimi sono in calo nell’ultimo anno). Secondo la stessa fonte, le famiglie italiane (soprattutto quelle a reddito medio-alto) consumano prodotti biologici almeno una volta a settimana e tale abitudine non è mutata durante la pandemia. Un successo, con poche eccezioni, una piuttosto evidente: i cereali.
In calo domanda e prezzi di mercato
La superficie coltivata a cereali biologici sta rallentando da un triennio la crescita che aveva caratterizzato il settore dagli anni ’90. In particolare, frumento duro e orzo hanno dati di aumento inferiori allo storico, mentre il tenero ha registrato un -7,5% nell’ultima campagna.
Il motivo del diminuito interesse è di natura economica. Innanzitutto sta affievolendosi la domanda, da parte dei consumatori, dei derivati dei cereali, vale a dire pasta e prodotti da forno. D’altra parte, da qualche tempo sono in calo i consumi della pasta di semola e del pane anche tradizionali, a seguito del cambiamento delle abitudini alimentari, soprattutto delle giovani generazioni. Un altro fattore di cui tener conto è l’aumento delle importazioni di frumento biologico dalla Romania e da altri Paesi, a prezzi concorrenziali in quanto prodotto a costi inferiori a quelli dei nostri agricoltori. Il risultato è un prezzo di mercato dei cereali bio insoddisfacente per i produttori. La differenza media tra prezzo del grano biologico e convenzionale nel periodo 2016-2020 è stata pari a 70% per il duro e 76% per il tenero, mentre oggi è rispettivamente intorno a 4% e a 11%. Dato che la coltivazione secondo il metodo biologico è più costosa rispetto a quella tradizionale, se si abbassano drasticamente i ricavi la redditività crolla. Un recente studio compiuto dalla Rete Rurale Nazionale del Mipaaf su oltre 42.000 aziende in tutt’Italia, ha rilevato che la redditività media delle aziende convenzionali è superiore del 3% rispetto alle biologiche per i seminativi, e del 17% per l’insieme delle produzioni. In effetti, mentre il prezzo del frumento galoppa, quello del bio è in sofferenza. In queste condizioni, il biologico si regge in buona parte sul sostegno pubblico (pagamenti diretti più Misura 11) che in alcune regioni del centro-sud può incidere fino ad oltre il 50% del reddito aziendale.
Una riflessione su Farm to Fork
La strategia così denominata ha posto come obiettivo minimo il raggiungimento del 25% dei terreni agricoli della EU coltivati in biologico entro il 2030. Significa che la superficie attuale, che ha impiegato alcuni decenni per raggiungere quota 8,5% nel 2019, dovrebbe quasi triplicare in pochi anni. Riconosciuti i nobili intendimenti del progetto (assicurare cibo sano e nutriente, coltivato in modo sostenibile), restano tra gli addetti ai lavori forti dubbi riguardo la sua realizzabilità attraverso questi strumenti. Il caso dei cereali biologici dovrebbe far capire che, al di là degli aiuti di cui il settore dispone, è il mercato che, attraverso il meccanismo di domanda e offerta, deve orientare le scelte degli agricoltori, affinchè queste ultime abbiano una sostenibilità economica, oltre che ecologica.
Franco Brazzabeni