C’ERA UNA VOLTA IL MAIS

Oltre un milione di ettari coltivati nel 2000, 564.000 oggi. In queste cifre è sintetizzato il momento di crisi profonda che sta vivendo il mais nazionale. Stiamo parlando di una delle più importanti coltivazioni del nostro territorio: la granella del mais è destinata nella quasi totalità all’alimentazione animale, quindi è un elemento fondamentale del sistema zootecnico italiano, che tra carne, latte e uova fattura 40 miliardi di euro l’anno. E’ la materia prima base per i mangimi delle filiere bovine, suine e altro, i cui prodotti finali sono famosi in tutto il mondo e rappresentano una voce importantissima del nostro export agroalimentare. Pensiamo ai numerosi formaggi e salumi DOP e IGP, vere eccellenze del made in Italy. Oltre alla contrazione delle superfici, la produzione 2022 di granella di mais è scesa a valori minimi sul livello di 50 anni fa a causa dell’annata estremamente siccitosa. Il calo medio è stato pari al 23% rispetto all’anno precedente e il tasso di autoapprovvigionamento è sceso sotto il 50% (nei primi anni 2000 eravamo quasi autosufficienti). Questa situazione comporterà inevitabilmente un incremento delle importazioni di granella per soddisfare la domanda dell’industria mangimistica, con un esborso di quasi 1,7 miliardi di euro. Purtroppo anche gli abituali fornitori, come Ungheria, Romania e Ucraina hanno subito forti perdite produttive, per cui sarà quasi inevitabile rivolgersi a Brasile e Usa, ove, tra l’altro, la coltivazione di mais OGM è ampiamente diffusa.

Una congiuntura di avversità

Il declino della coltivazione di mais da granella in Italia è cominciato dopo il 2012, quando per alcuni anni il prezzo di questa (e altre) commodity è rimasto su livelli alquanto depressi, grazie a produzioni mondiali elevate e stock su livelli tranquillizzanti per gli operatori. Le quotazioni basse e le rese spesso condizionate da andamenti climatici avversi, con estati secche e molto calde, hanno minimizzato la redditività della coltura, spingendo gli agricoltori delle zone meno vocate a cercare alternative più favorevoli e meno rischiose, come la soia e il frumento. L’aumento dei costi di acqua ed energia, nonché di vari mezzi chimici, ha aumentato le difficoltà, essendo il mais una specie ad elevato apporto di risorse. Va ricordata la pressione di varie avversità, come la piralide e la diabrotica, e il rischio di deprezzamento causato dalla presenza di micotossine. Dal 2020 i prezzi sono tornati a salire, raggiungendo valori record, ma gli aumenti eccezionali di gas e petrolio, oltre che dei fertilizzanti, hanno in buona parte attenuato l’effetto positivo.

Scienza e marcato per il rilancio

Nel 2023 la tendenza negativa dovrebbe purtroppo confermarsi, visto il permanere di parte delle cause che la determinano; in più, la nuova PAC appena inaugurata prevede un taglio robusto dei pagamenti diretti per il mais. Affinchè si possa attuare un rilancio almeno parziale della coltura, occorre agire in varie direzioni. Innanzitutto la scienza, che nei decenni passati ha permesso ai maiscoltori italiani di ottenere risultati eccezionali in termini di produttività, grazie al continuo miglioramento varietale e all’utilizzo di mezzi tecnici efficaci: fertilizzanti, fitofarmaci e macchine in continuo progresso. Oggi questo non basta più e sono sempre più necessarie nuove tecnologie. Si guarda con grande speranza alla ricerca genetica, ma la EU continua a manifestare cronica incertezza nell’adozione delle TEA, nonostante le pressioni degli addetti ai lavori e il parere favorevole dei consumatori. L’altra grande speranza, l’Agricoltura 4.0, stenta ad affermarsi, causa i costi elevati per molte aziende, l’informazione insufficiente e l’altrettanto carente formazione degli operatori. Chi ha acquistato gli strumenti spesso non sa come gestirli e sfruttarli al meglio. Un aiuto economico non trascurabile può arrivare dai contratti di filiera; è previsto uno stanziamento di risorse per gli agricoltori che li sottoscrivono. Nel precedente triennio consisteva in un centinaio di euro per ettaro.

Gli anni d’oro che il mais ha vissuto tra il 1980 e il 2000 non torneranno: il mercato è irrimediabilmente cambiato. L’obiettivo dev’essere quello di aumentare l’approvvigionamento di materia prima alle filiere, incentivando il mais nelle zone vocate e fornendo le migliori risorse tecniche ed economiche. Un impegno inderogabile per il mondo politico.

04/02/2023

Franco Brazzabeni