Chi come il sottoscritto è nato in Pianura Padana e non è tanto giovane, ha una certa familiarità con termini come “masaro”, cioè macero, che facevano parte della coltivazione della canapa, diffusa in vari territori fino al dopoguerra. Allora la coltivazione aveva come obiettivo la fibra tessile.
Da qualche anno si riparla di questa specie, per impieghi in campo alimentare, cosmetico, tessile, ornamentale e addirittura nella bioedilizia e per produzione di bioplastiche. Molto interessante, visti i redditi che la nuova/vecchia coltura può garantire agli agricoltori, alla ricerca di migliorare i propri guadagni, soprattutto in questi tempi piuttosto magri per quanto riguarda i prezzi delle commodity come mais e frumento. Così la superficie seminata a canapa è rapidamente passata, negli ultimi anni, da poche centinaia a 4.000 ettari, con tendenza sicuramente a salire.
Tutto bene, quindi? No, c’è qualcosa che non va bene, neanche un po’. Infatti una parte delle coltivazioni, probabilmente la più consistente, sembra essere destinata a produrre quella che viene gentilmente definita cannabis light o leggera.
Sì, è la stessa cannabis usata come stupefacente da (ahimè) molte persone e soprattutto molti giovani, con la differenza che il tipo leggero deve avere un contenuto di THC (delta-9-THC o tetraidrocannabinolo, la molecola psicoattiva) tra 0,2 e 0,6%. La legge 242/2016 permette la coltivazione di varietà di canapa con tenore di basso THC per la produzione e vendita delle infiorescenze.
Queste possono essere utilizzate a scopo terapeutico per i loro effetti di trattamento del dolore, ecc. e qui lasciamo la parola agli esperti del settore.
Il fatto è che questa versione leggera secondo la legge può essere tranquillamente venduta al pubblico e infatti sono fioriti vari negozi specializzati nella vendita della cannabis light.
Ma come? Da un lato lo stato promuove campagne di comunicazione per convincerci a non fumare e a non bere alcolici, dall’altro mette tranquillamente la cannabis in mano ai giovani, che la possono così legalmente fumare, inalare e ingerire?
E’ parere diffuso tra gli scienziati che l’assunzione di THC possa provocare danni cerebrali e cognitivi, soprattutto in individui di giovane età, oltre che essere la porta d’ingresso all’uso di altre e più pericolose droghe.
Ma forse ancora più inquietante è il fatto che l’apertura all’uso della cannabis light sia avvenuto nell’indifferenza quasi generale: chi insorge contro il consumo di alimenti di origine animale, di prodotti non naturali, di cibi ritenuti non sani, magari perché “contaminati” da OGM, non ha finora trovato nulla dire in merito alla cannabis a scopo “ricreativo”…
Meno male che c’è anche una notizia confortante. Recentemente, il Consiglio Superiore di Sanità, rispondendo a un parere richiesto dal Ministero della Salute, ha dichiarato che “…non può essere esclusa la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa…”, e quindi “…raccomanda che siano attivate nell’interesse della salute individuale e pubblica misure atte a non consentire la libera vendita…”.
Un lampo di buon senso, scientificamente fondato, che lascia una speranza concreta.
Auguro ai nostri agricoltori, designati a produrre alimenti sani e nutrienti, nonché a salvaguardare il territorio, di trovare fonti di reddito meno discutibili è più in linea con la loro meravigliosa tradizione.