La canapa (Cannabis sativa) è stata una coltivazione diffusa in Italia, dal Medioevo e fino agli anni ’30-’40 del secolo scorso. In varie zone della campagna padana è ancora possibile imbattersi nei maceri (o in quel che ne resta), sorta di grandi vasche scavate nel terreno per la lavorazione (stigliatura, cioè la separazione della fibra dalla parte legnosa) del prodotto raccolto, vale a dire gli steli, o bacchette, destinati a produrre fibra tessile. Era questa l’utilizzazione principale della canapa in quegli anni, ma non la sola: infatti con la pianta di canapa si realizzano anche filtri e pannelli isolanti, mentre dai semi si estrae un olio utilizzato nell’industria delle vernici e, infine, i sottoprodotti della stigliatura diventano mangimi, nel caso dei panelli esausti, o lettiera.
Nel secondo dopoguerra la coltivazione progressivamente viene abbandonata perché faticosa e non in grado di sostenere la concorrenza con le nuove fibre sintetiche o con altri materiali.
Si assiste a una timida ripresa della coltivazione di canapa 20-25 anni fa, quando una prestigiosa firma dell’abbigliamento prova ad utilizzarla per ottenere capi di tendenza, oppure per la produzione di carte speciali, ma non si va oltre un contesto di nicchia. L’ISTAT registra nel 2018 appena 670 ettari su tutto il territorio nazionale.
Negli ultimi decenni è un’altra specie di canapa a proliferare: si tratta della Cannabis indica, dalla cui coltivazione si ricava il cannabidiolo o CBD, utilizzato dall’industria farmaceutica o, molto meno nobilmente, per ottenere sostanze stupefacenti di vario tipo. Per ovvi motivi la coltivazione è vietata.
Oggi sembra che la canapa possa conoscere quella che si potrebbe definire una vera e propria terza vita.
Recentemente la C. sativa è legalmente coltivabile per la produzione della così detta Cannabis light, una sostanza psicotropa con bassi contenuti di THC (altro cannabinoide), tra 0,2 e 0,6%, ma la sua liberalizzazione ha scatenato anche in Italia un dibattito molto acceso, che ha portato a (giustamente) ridiscutere l’opportunità di vendere i derivati al pubblico.
Molto più interessante sembrano invece i nuovi, e in buona parte ancora sconosciuti al grande pubblico, utilizzi nel settore alimentare. Ecco quindi il latte di canapa, ricco di acidi grassi, calcio, proteine, fibre e ferro, considerato addirittura più nutriente del latte di soia.
Interessanti per le loro caratteristiche sono anche le proteine, presenti nella polvere ottenuta dalla macinazione dei semi.
Non solo food, però: oggi la canapa può essere coltivata anche per produrre biomassa da energia.
Negli Stati Uniti queste potenzialità stanno attirando l’attenzione degli agricoltori, tenuto conto anche delle criticità che sta vivendo la soia a seguito della guerra commerciale con la Cina.
Infatti la canapa viene vista come una valida alternativa alla soia, con la quale può entrare positivamente in rotazione. L’obiettivo è raggiungere 1 milione di acri nel breve periodo.
In Italia, la rusticità e la resilienza ai fattori climatici e le nuove destinazioni commerciali rendono la canapa una coltura sicuramente meritevole di attenzione.