L’agricoltura biologica continua a correre: nel mondo si coltivano in bio oltre 70 milioni di ettari, in Europa 16, in costante crescita. Il contributo dell’Italia è importante, con 2 milioni di ettari, superata solo da Spagna e Francia, ma con il più alto numero di produttori, ben 80.000. L’Italia inoltre è il terzo mercato della EU per il consumo di prodotti biologici, con un giro d’affari di 3,6 miliardi di euro, dopo la Germania e la Francia. Il consumatore europeo chiede sempre in maggiore misura questi prodotti, come testimoniato anche da Eurobarometer 2020. Secondo il sondaggio, voluto dalla Commissione Europea, il 32% del campione (27.000 cittadini di tutti gli Stati membri) chiede un uso limitato o nullo di fitofarmaci, il 22% una produzione a basso impatto su ambiente e clima. Inoltre la pandemia in atto ha accelerato l’esigenza di un’alimentazione sicura e sana (42%). Ce n’è abbastanza perché i politici europei, molto (o forse troppo?) sensibili alle indicazioni dei consumatori orientino le loro scelte decisamente a favore del biologico. Ma l’agricoltura biologica è realmente la più sostenibile, in termini ecologici ed economici?
Farm to Fork punta al bio
La strategia denominata Farm to Fork, nucleo della politica Green Deal, ha fissato alcuni obiettivi da raggiungere entro il 2030, tra cui: 25% di terreni coltivati con metodo biologico, riduzione del 50% dell’uso dei fitofarmaci e del 20% dei fertilizzanti chimici. Si tratta di risultati molto ambiziosi e difficili da raggiungere, se consideriamo che nello stesso lasso di tempo sarà anche necessario aumentare le produzioni, per soddisfare la richiesta globale di cibo. Si prevede che entro il 2028 l’agricoltura dovrà produrre il 15% in più, tenuto conto anche delle perdite causate dai cambiamenti climatici in atto. Senza contare che il 40% delle coltivazioni va perduto annualmente a causa di vari organismi patogeni. Quindi l’agricoltura europea dovrà produrre di più ma con meno mezzi, visto anche che il dibattito sulle nuove tecniche di miglioramento genetico è molto acceso e al momento queste sono bloccate nella EU. In ogni caso la svolta impressa dalla nuova PAC è in chiave “verde” e porterà inevitabilmente dei cambiamenti.
L’agricoltura biologica e l’ambiente
Un recente studio compiuto in Francia da Bernard Le Buanec, membro de l’Académie d’agriculture de France e de l’Académie des technologies, L’agriculture bio et l’environment, edito da Fondation pour l’innovation politique, riassume molte sperimentazioni sul confronto tra agricoltura convenzionale e bio in termini di impatto ambientale.
Premesso che esistono molte differenze tra i diversi ambienti e tra le tecniche di coltivazione, le ricerche condotte sulla materia portano a due conclusioni essenziali.
- Se si considera il singolo ettaro di coltivazione, il metodo biologico offre un impatto ambientale minore rispetto alle tecniche tradizionali. Parametri come la qualità dell’acqua di falda, la presenza di gas serra, la conservazione della biodiversità, il tenore di sostanza organica nel suolo, sono più favorevoli in caso di agricoltura biologica. Va anche detto che altri elementi, per esempio la fertilità minerale e la produzione per unità di superficie sono migliori con il metodo tradizionale.
- Se allarghiamo la visione a un livello macro economico, lo scenario cambia radicalmente. La minore produttività offerta dal biologico porta inevitabilmente alla necessità di aumentare la superficie coltivata, visto il crescente fabbisogno di cibo. La conseguenza può essere il disboscamento di aree naturali, oppure l’importazione di materie prime da altri continenti con alti costi di energia. In ogni caso il paradosso è evidente: più agricoltura biologica può significare a livello globale perdita di biodiversità e aumento dei gas serra.
In altre parole, secondo lo studio citato, con le tecniche attuali l’agricoltura biologica non è oggettivamente adeguata a sostenere i grandi obiettivi del prossimo futuro, come nutrire una popolazione mondiale in continuo aumento, fronteggiare i cambiamenti climatici, difendere le coltivazioni dai patogeni. Pertanto, puntare al 30% in Europa sembra un obiettivo non realistico, che può rivelarsi addirittura dannoso. Una conclusione per certi versi sorprendente, una fonte di meditazione per cittadini e politici.
Franco Brazzabeni