La biodiversità è un vero e proprio “tesoro” biologico da preservare, e in questa direzione ricercatori e sementieri sono in prima linea.
La grande varietà di geni, specie, organismi ed ecosistemi presente in natura rappresenta un immenso serbatoio a cui il mondo della ricerca vegetale da sempre attinge per costituire nuove varietà, che a loro volta producono ulteriore biodiversità.
Un esempio per tutti: il piccolo pomodoro selvatico Solanum pimpinellifolium che nel corso dei secoli, grazie a mutazioni naturali e soprattutto al miglioramento genetico, ha prodotto l’ampia gamma varietale di pomodori oggi a disposizione dei consumatori.
Secondo un recente studio compiuto da un gruppo internazionale di ricercatori guidati da Adam Martin dell’University of Toronto, la biodiversità è fortemente limitata nell’agricoltura attuale, con possibili ricadute negative di tipo economico ed ecologico.
I dati forniti dalla FAO sono piuttosto chiari: 4 sole specie (soia, frumento, riso e mais) rappresentano il 50% delle coltivazioni mondiali, mentre altre 152 specie sono utilizzate nella restante metà.
La globalizzazione dell’agricoltura ebbe inizio a seguito delle grandi esplorazioni del XV e XVI secolo, con nuove specie inserite e coltivate da un continente all’altro.
In tempi più recenti, gli anni ’80 registrarono un ulteriore aumento della diversità delle coltivazioni nei vari ambienti. Basti pensare all’arrivo della soia in Europa.
Il decennio successivo ha visto però un’inversione di tendenza, a causa di una specializzazione delle produzioni e, di conseguenza, del materiale genetico utilizzato. Negli USA sei genotipi di mais rappresentano il 50% di questa coltura.
La conseguenza principale per l’agricoltura è che le coltivazioni mono-specie sono un facile bersaglio per agenti patogeni e insetti di vario tipo, il che può rendere necessario un esteso uso della chimica per limitare le perdite di produzione. Il pensiero va, ad esempio, al Fusarium oxysporum f. sp. Cubense, che sta mettendo in crisi la coltivazione dei banani a livello mondiale.
Uno scenario di questo genere sarebbe in netto contrasto con il concetto di agricoltura sostenibile che sembra irrinunciabile per armonizzare, nel lungo periodo, le esigenze di produrre di più per sfamare il pianeta e di non inquinare ulteriormente l’ambiente in cui viviamo.
La conclusione degli autori dello studio è un invito alla ricerca a produrre genotipi tolleranti le avversità, e al mondo politico a pilotare, per quanto possibile, le scelte degli agricoltori, con l’obiettivo della diversità produttiva accanto a quello, scontato, della redditività.
Un’altra sfida importante per l’agricoltura del XXI secolo.