Se ne parla da un po’ di tempo, come possibile soluzione al problema della fame e della malnutrizione nei Paesi poveri, ma anche come un’opportunità di produrre alimenti in modo (forse) più sostenibile. Ad esempio, “carne” sintetica senza utilizzare animali allevati in impianti costosi e a forte impatto, per uso di acqua o produzione di gas serra, oppure formaggi con minimo uso di latte, o filetti di pesce o ancora miele o uova, tutti sintetici. Produrre alimenti proteici alternativi a quelli derivati da animali è un obiettivo condiviso da varie istituzioni e giustificato dal fatto che entro il 2050 l’aumento della popolazione e del reddito in alcuni Paesi porterà a un raddoppio della domanda di proteine animali, con possibile pesanti ripercussioni sull’ambiente. Esiste un progetto della Commissione europea per aumentare la produzione di proteine vegetali nel continente, riducendo le importazioni: oggi l’Europa è fortemente deficitaria e importa annualmente ben 17 milioni di tonnellate di proteine grezze, soprattutto soia, destinati principalmente all’industria mangimistica. L’aumento dei consumatori vegetariani e vegani ha prodotto negli ultimi anni un continuo incremento di consumo diretto di proteine vegetali, alternative alla carne e ai prodotti lattiero-caseari. Ecco ad esempio gli hamburger, il latte e i formaggi di soia o altre leguminose. Anche le alghe e addirittura gli insetti sono candidati a fornire cibi proteici.
Cibo sintetico: come si produce
Alcune cellule staminali o enzimi proteici, derivate da animali, vengono messe a coltura in un particolare contenitore (bioreattore) e alimentate (ad esempio con zuccheri) per farle sviluppare. In questo modo si forma un tessuto simile a quello muscolare. Il processo assomiglia a quello che avviene durante le fermentazioni, per esempio quella alcolica dall’uva al vino o dall’orzo alla birra, oppure quella lattica che porta alla produzione di yoghurt e formaggi. Insomma i processi biotecnologici sono molto utilizzati nell’industria alimentare per ottenere vari alimenti e bevande del tutto comuni. Lo stesso procedimento è allo studio per produrre miele o albume d’uovo sintetici. Dal punto di vista molecolare, secondo i produttori, questi alimenti sono del tutto simili a quelli tradizionali e quindi dovrebbero essere etichettati nello stesso modo. E’ solo uno dei punti in discussione.
Il dibattito è aperto
Non è difficile immaginare la reazione di assoluta contrarietà del mondo agricolo a questa possibile innovazione. E’ stata lanciata una petizione già firmata da 200.000 persone, tra cui politici di rilievo, parlamentari e personalità varie. In un Paese come il nostro, ricco di eccellenze gastronomiche e di tradizioni alimentari di grande valore, parlare di cibo prodotto in laboratorio suona blasfemo. Al di là degli aspetti culturali ed emotivi, va ricordato che il settore della carne genera un giro d’affari annuo di circa 30 miliardi di euro, che arriva a 40 miliardi includendo latte e uova. Anche la maggioranza dei consumatori esprime parere negativo, a cominciare dal nome: “sintetico” risveglia sentimenti chemofobi e antiscientifici, meglio sarebbe utilizzare l’aggettivo “coltivato”. D’altra parte, associazioni ambientaliste e animaliste manifestano apertura verso questa possibile innovazione. Vi è anche da parte di molti il timore che questo cibo divenga un’esclusiva delle multinazionali; in effetti alcuni grandi gruppi finanziari stanno investendo cifre importanti in questo settore, ma è altrettanto vero che anche varie startup si stanno proponendo con nuovi prodotti. Al momento i cibi sintetici o coltivati non sono economicamente convenienti, ma probabilmente si tratta solo di tempo.
Tra discussioni e polemiche, una voce condivisibile viene dal neo ministro Lollobrigida, il quale, pur contrario ai cibi sintetici, invita a investire sulla ricerca per studiare gli effetti di questi prodotti sulla salute dei cittadini. Per accettare o rifiutare occorre prima conoscere, evitando reazioni puramente emozionali, come già avvenuto con gli OGM.
28/11/2022
Franco Brazzabeni