La biodiversità è sicuramente utile all’agricoltura, ma l’agricoltura lo è alla biodiversità?
Sembra un gioco di parole, in realtà è una questione molto seria: biodiversità vuol dire presenza nel terreno di organismi utili alla sua fertilità; insetti pronubi indispensabili alla fecondazione di molte piante; varie altre specie vegetali e animali che compongono una complessa e delicata catena alimentare; un serbatoio pressoché inesauribile di risorse genetiche per produrre innovazione vegetale e zootecnica, che a sua volta apporta nuova diversità.
Da tempo l’argomento è all’ordine del giorno e la diminuzione della biodiversità nelle aree coltivate è molto più che un timore. Impoverimento della flora e della fauna presente all’interno del terreno e in superficie, calo di quantità e varietà della popolazione aviaria naturale, diradamento di alcune specie di insetti sono segnali inquietanti non solo per gli ecologisti, ma anche per gli agricoltori, per i motivi già spiegati.
L’agricoltura nel corso dei secoli passati è progressivamente entrata negli ambienti naturali e li ha inevitabilmente modificati. Nessun dubbio che l’ambiente debba pagare un prezzo alla necessità di produrre cibo per la crescente popolazione mondiale, ma da tempo si è capito che la coltivazione del terreno non può avvenire in modo indiscriminato, ma usando tecniche sostenibili che realizzino un sia pur difficile e fragile equilibrio con l’habitat ospitante.
In questo contesto è interessante segnalare una ricerca in corso in Olanda, da parte della Wageningen University & Research.
Riguarda una tecnica, applicata in aziende agricole su larga scala, che prevede non più grandi blocchi mono coltivati di migliaia di metri quadrati o addirittura di ettari , come abituale per l’agricoltura intensiva, bensì strisce (da cui la denominazione “strip cultivation“) da 6, 12 o 24 metri di larghezza, di diverse specie alternate tra di loro. A volte si inseriscono anche strisce con varie essenze fiorifere. In questo modo, secondo il gruppo di ricercatori e gli agricoltori che partecipano al progetto pilota, si notano diversi vantaggi. Da un lato le varie patologie causano minori danni grazie ad una diffusione più limitata. Dall’altro lato, gli insetti e altra fauna, dopo la raccolta di una coltura, trovano rifugio nella specie adiacente ancora in coltivazione oppure nella striscia floreale.
Dato credito alla validità tecnica del progetto (con alcune riserve riguardanti il rischio di infestare i terreni con le essenze floricole), resta da valutare l’aspetto economico, inclusa la possibilità da parte degli agricoltori di percepire un auspicato pagamento nell’ambito del greening previsto dalla PAC.