Gli scienziati hanno individuato nella carenza d’acqua, molto più che nelle alte temperature, l’anello debole nel sistema di resilienza delle piante ai cambiamenti climatici.
Resilienza, termine quasi sconosciuto fino a poco tempo fa, è diventata una delle “parole d’ordine” più utilizzate quando si parla di agricoltura.
Infatti il grande obiettivo in vista del 2050, sintetizzabile in zero fame per il genere umano, già di per sé molto ambizioso e difficile, viene complicato dai cambiamenti del clima, cui purtroppo assistiamo da qualche tempo.
L’agricoltura, stando alle stime della FAO, utilizza il 70% dell’acqua disponibile sul pianeta, da ciò si capisce l’importanza di questa materia per la produzione del cibo e i problemi che derivano dalla sua carenza in determinate zone e momenti. Basti ricordare, a titolo di esempio, la mancata produzione di cereali in Europa del nord nel 2018, causata dalle temperature estive, inusualmente elevate, e soprattutto dalla mancanza di piogge.
A seguito di queste situazioni, si evolvono anche gli obiettivi della ricerca vegetale. Se nei decenni scorsi si è lavorato molto, con successo, per innalzare le medie produttive delle grandi colture, e in tempi più recenti per migliorare la qualità di vari prodotti e la resistenza delle piante ai patogeni, ora, e nel futuro prossimo, la priorità è diventata la resilienza ai fattori abiotici, cambiamenti climatici su tutto.
Ecco quindi la Clemson University che negli USA sta lavorando per ottenere varietà di soia resistenti alla siccità. In particolare si studia la possibilità di ottenere semi in grado di germinare anche in suoli secchi. In pratica si selezionano tipi con alto peso di 1000 semi e radice primaria in grado di allungarsi in modo considerevole per raggiungere lo strato più umido.
Nello stesso tempo, la Kansas University ha cominciato uno studio approfondito e per molti versi inedito sui movimenti dell’acqua all’interno degli steli, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza idrica delle coltivazioni.
Si vuole scoprire quanta acqua si muove nelle piante a seconda dei diversi stati vegetativi e momenti della giornata, per arrivare alla determinazione del fabbisogno idrico in modo molto più preciso di quanto oggi sia noto.
I ricercatori utilizzano sensori basati sulla risonanza magnetica nucleare, in grado di captare il “respiro” delle piante e di conseguenza il loro fabbisogno idrico con grande precisione.
Un eccellente contributo all’agricoltura di precisione per coltivare in modo sostenibile.